«Il prossimo 24 aprile sarà ricordato il centenario del genocidio in Armenia iniziato dall’ex Impero Ottomano. Il Metz Yeghern, il “Grande Male” che ha causato la morte di oltre un milione d’innocenti, è sempre stato circondato da un’impenetrabile cortina di indifferenza, anzi da un muro di gomma che dura da un secolo. Tutta colpa della realpolitik dell’Europa. Con la fine della I Guerra Mondiale, nel 1920 le nazioni belligeranti siglarono un Trattato, quello di Sevres, in cui si parlava genericamente di uno Stato Armeno. Il Trattato non venne mai ratificato dal Parlamento turco. Tre anni dopo, nel 1923 prese il potere Kemal Ataturk che impose agli stati europei un secondo trattato, quello di Losanna in cui non si parlava minimamente della questione. Era la pietra tombale che veniva posta sul capitolo più buio di quel periodo, costato la vita a quasi un milione e mezzo di persone. Anche se la vicenda bussava alle coscienze di tutti gli Stati, Gran Bretagna, Usa, Francia, Italia, Russia, Germania compresa, l’argomento venne accantonato. Era più conveniente. La Turchia moderna impose il silenzio, così come lo sta imponendo a quegli Stati che riconoscono apertamente il genocidio. Ankara fa pressioni, esercita il suo potere economico, sfrutta la sua potenza regionale per alimentare il negazionismo. In gioco ci sono i risarcimenti ai sopravvissuti». Franca Giansoldati è l’autrice del libro-inchiesta La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno (Salerno Editrice 2015). Un’immane tragedia di un intero popolo che la vaticanista del Messaggero, definisce “una ferita ancora aperta” nella memoria collettiva della cultura europea. Nel testo è pubblicata una lettera autografa di Papa Francesco che ha considerato il libro come “prezioso recupero della memoria”. «Il Papa ha letto le bozze del libro in anteprima e ha voluto incoraggiare me, come tutti coloro che aiuteranno con le loro ricerche, a portare a galla la verità. Negare quel capitolo terribile non è più possibile adesso che gli archivi vaticani sono stati aperti e resi disponibili agli studiosi», precisa la giornalista.
L’Impero Ottomano pianificò ed eseguì il piano di sterminio che portò alla quasi completa cancellazione della presenza armena nei suoi territori. Un piano previsto per motivi etnici, razziali e religiosi. Ce ne vuole parlare?
«Gli armeni, non dimentichiamolo, facevano parte di una minoranza ricca e influente, controllavano le banche, possedevano terreni. L’Impero Ottomano in quel periodo era fortemente indebitato per la guerra contro la Grecia combattuta anni prima. Gli armeni venivano visti come l’elemento disturbante. L’odio cresceva per diversi motivi, si trattò di un processo lento, che sommò elementi politici, economici, etnici. L’Impero Ottomano allargava al suo interno l’influenza del “panturchismo”, una corrente che tendeva a emarginare tutto ciò che non era considerato omogeneo alla ‘’razza turca’’. Diversi documenti dell’epoca parlano proprio di “razza turca”. A questo va aggiunta anche la questione religiosa, non secondaria, chi in ogni caso si convertiva all’Islam, aveva salva la vita».
Il titolo del volume ha un valore simbolico?
«Un valore evocativo indubbiamente. La marcia verso il nulla, il deserto, la morte. Era l’attuazione della soluzione finale studiata a tavolino dai Ministri ottomani della Guerra e dell’Interno».
Se l’Europa ha preferito guardare altrove, e la Turchia ancora mantiene un atteggiamento negazionista, quale fu il ruolo della Santa Sede nel cercare di fermare lo sterminio?
«Un ruolo attivo, coraggioso, tenace, controcorrente rispetto agli stati belligeranti. I diplomatici vaticani si adoperarono molto. In Vaticano arrivavano documenti sconcertanti, lettere con richieste di aiuto, rapporti, testimonianze dirette. Vi furono vescovi cattolici massacrati, strangolati con la croce pettorale».
“Un gigante” così ha definito la figura di Papa Benedetto XV, perché?
«Perché fu l’unico Capo di Stato che qualche mese dopo, il 24 aprile 1915, prese carta e penna e con tutta la sua autorità e autorevolezza scrisse al sultano, a Costantinopoli, chiedendogli aiuto, implorandogli clemenza, pregandolo di fermare quel massacro agghiacciante. Usò tutti i mezzi che aveva a disposizione per esercitare pressioni. Utilizzò anche tantissimi denari per aiutare i profughi, soprattutto gli orfani armeni, perché a guerra finita, sul territorio turco ma anche negli stati limitrofi, Libano, Siria, Iraq, c’era da risolvere la questione degli orfani, decine e decine di migliaia di bambini sopravvissuti e senza più nessuno al mondo».
Nel Suo libro-inchiesta si parla anche di conversioni forzate. Che tipo di documenti, lettere o testimonianze ha trovato in tal senso?
«Negli archivi vaticani si trovano tante lettere, dossier, oltre che descrizioni in presa diretta di testimoni oculari, tra i quali tanti missionari cristiani impegnati in Anatolia, alcuni vescovi, che fecero emergere la prova inequivocabile di un disegno, di una pianificazione da parte del governo ottomano, pianificazione che alla violenza fisica, combinava un altro tipo di violenza, quella spirituale delle conversioni forzate. Padre Michele Lieben, missionario austriaco che si trovava a Samsun, in Turchia, ai primi di marzo del 1916, descriveva a Monsignor Angelo Dolci, delegato apostolico a Istanbul, le persecuzioni e le violenze di fede in atto».
Durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Turchia, del novembre dello scorso anno, ha posto al Santo Padre una domanda in merito al centenario del genocidio. Che cosa ha risposto il Pontefice?
«Ha parlato dell’“ecumenismo del sangue”, un concetto che riguarda la fratellanza dei cristiani davanti al martirio. Non importa se in Turchia sono stati uccisi più armeni gregoriani, che armeni cattolici. Quello che conta è che sono stati tutti uccisi in “odium fidei”. È per questo che la Chiesa gregoriana ha deciso di canonizzare in massa tutti i martiri, uccisi dalle marce della morte».
“La persecuzione dei cristiani è un crimine inaccettabile” ha detto Bergoglio durante il Regina Coeli del Lunedì dell’Angelo. “Auspico veramente che la Comunità Internazionale non rivolga lo sguardo da un’altra parte”. La storia si sta tragicamente ripetendo?
«La storia è destinata a ripetersi ogni volta che non si introietta la verità del passato. La memoria collettiva è fatta di storia condivisa. Purtroppo tanti capitoli del XX secolo sono ancora pieni di buchi».