Festa dei popoli con i profughi: uniti dal sogno di un futuro migliore

A Bergamo nelle comunità cattoliche di diversa madrelingua abitano persone arrivate dall’America Latina, dall’Africa, dall’Asia, che spesso vivono qui da tempo: anche da due, tre generazioni. Hanno vissuto sulla propria pelle cosa significa essere accolti da un Paese straniero, stanno ancora seguendo la strada faticosa dell’integrazione. Ecco perché assume un valore ancora più forte che quest’anno con la Festa dei popoli, in occasione della Pentecoste, abbiano scelto di essere vicini ai richiedenti asilo: il volto – drammatico – della nuova immigrazione.

Domenica 24 la Festa dei popoli, promossa dall’ufficio diocesano dei migranti con Cooperativa Ruah e Caritas diocesana, si svolge al Gleno, proprio là dove hanno trovato accoglienza diverse decine di profughi.
«L’idea – sottolinea don Massimo Rizzi, direttore dell’ufficio migranti – è partita da un’iniziativa fatta nel vicariato di Mapello per la giornata del migrante. È stata un’esperienza intensa, particolarmente riuscita, e abbiamo quindi scelto di estendere l’invito alle comunità di migranti a compiere un gesto come questo. Ci è sembrato importante dare una particolare attenzione a questa nuova migrazione. Abbiamo subito ottenuto la collaborazione della Caritas e della cooperativa Ruah che accompagna il soggiorno dei ragazzi e organizza per loro attività di animazione. Una collaborazione già avviata per organizzare insieme momenti di preghiera interreligiosa per i profughi, che per la maggior parte sono musulmani».

La giornata incomincia alle 11 con un momento di accoglienza al quale sono state invitate le autorità cittadine: la prefetta Francesca Ferrandino, il presidente della Provincia Matteo Rossi e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. L’invito è stato esteso anche ad alcuni rappresentanti di altri centri dove vengono ospitati i profughi. Alle 12 viene celebrata la Santa Messa, animata dalle comunità cattoliche di diversa madrelingua e in contemporanea c’è una preghiera con alcuni rappresentanti della comunità musulmana.

«Utilizzeremo – racconta don Massimo Rizzi – il segno del puzzle che abbiamo utilizzato anche per la giornata mondiale delle migrazioni: alla base c’è un’immagine della chiesa composta da diverse tessere». E per includere anche quelle che apparentemente “non combaciano” ci vuole creatività.

Il pranzo sarà un bel momento di condivisione: contribuiranno a prepararlo tutti i partecipanti: i giovani del centro d’accoglienza e le comunità cattoliche di diversa madrelingua, che porteranno dolci tipici dei loro Paesi di provenienza.

Il pomeriggio sarà dedicato al dialogo, all’incontro informale. «Le comunità – continua don Rizzi – racconteranno anche qualcosa di loro». L’animazione prevede alcune performance, il laboratorio teatrale con gli ospiti del centro di accoglienza Gleno condotto dalla Compagnia Isabelle il Capriolo, un concerto di kora (musica africana), laboratorio musicale con gli ospiti di Casazza e Botta di Sedrina, a cura di Pegas Ekamba Bessa, e tanti giochi interculturali.

«Così – sottolinea Giancarlo Domenghini, collaboratore dell’ufficio migranti – le comunità cattoliche di altra madrelingua rendono concreto lo spirito del cenacolo nel giorno di Pentecoste: tutti parlano in altre lingue e tutti si comprendono».  Quella che affiora è un’immagine di chiesa dai molti volti, dove ogni cultura trova il suo posto, e dove si trovano, al di là delle differenze, molti modi per stare insieme e costruire strade da condividere. La Messa della Festa dei popoli è aperta a tutti: è un segno forte di vicinanza alla nuova immigrazione della Chiesa di Bergamo.

L’arrivo così massiccio di profughi è una novità: «È un fenomeno migratorio diverso dal passato – sottolinea Giancarlo -. Per quanto poi molti sostengano – anche polemicamente, ndr – che non tutte le persone che arrivano in questi centri possano vedersi poi riconosciuto lo status di rifugiato, ci sono sicuramente dei motivi seri che spingono a fuggire dalla propria terra d’origine utilizzando mezzi di spostamento così pericolosi. Sono uomini e donne che cercano di migliorare le loro condizioni di vita: e questa è una tensione che ci unisce tutti, non solo i profughi agli altri migranti, ma tutti. Siamo uniti dal sogno di un futuro migliore. Si tratta di decidere come procedere insieme per realizzarlo».