L’allegria dei naufraghi. La spensieratezza delle vacanze e quella di tutti i giorni

LE CATTIVE NOTIZIE CI INSEGUONO ANCHE IN VACANZA

Quanto vorremmo che d’estate, insieme agli affanni quotidiani, al lavoro, al freddo invernale, ci abbandonassero anche le brutte notizie. E invece continuano imperterrite ad accompagnare i nostri giorni: le ultime riguardano – cito in ordine sparso – una strage tra vicini per un parcheggio, nuove ondate di disperati che solcano il mare, un uragano che ha devastato parte del Veneto, la crisi greca, l’attentato a un nostro consolato al Cairo. Le cattive notizie non vanno in vacanza, nonostante le illusioni, e a noi non resta che lenire la delusione a modo nostro: cercando almeno di tenerle lontane. È come se il clima estivo e vacanziero, rendendoci più sereni e spensierati, cambiasse anche la nostra disposizione d’animo nei confronti della realtà. E così quello che solitamente ci angoscia e insidia il nostro vivere improvvisamente perde la propria forza d’impatto. Complice un’informazione umorale e ciclica, l’immigrazione è sparita dai nostri pensieri (ma non dalle nostre città e dagli scogli di frontiera), il primo attentato di matrice islamica diretto contro l’Italia ci pare l’ennesimo, trascurabile avvertimento di qualche fanatico, persino il dramma greco ci sembra più commedia che tragedia, degno di un Plauto più che di un Eschilo, con Tsipras che è uno nessuno centomila e gli altri europei che recitano a soggetto.

E NOI CERCHIAMO DI NON VEDERE. PER SUPERFICIALITÀ O PER NECESSITÀ?

È difficle dire se la spensieratezza dei tempi estivi sia triste superficialità o benefica necessità. Vacanza, forse, vuol dire anche vacanza dal grigiore della quotidianità, dai cattivi pensieri e dalle ossessioni personali e collettive: non pensare al negativo, abbandonare per un attimo i motivi di ansia può essere un salutare sfogo, purché momentaneo e circoscritto.
Noi italiani siamo invece specialisti nel protrarre l’atteggiamento di leggerezza e garrula inconsapevolezza per periodi ben più lunghi, se non eterni: siamo noi quelli che nel tragico vedono sempre il comico e il grottesco, quelli per cui la situazione è grave ma non seria, quelli dei problemi perennemente irrisolti che diventano fiore all’occhiello, segno distintivo di cui andare quasi fieri in patria e nel mondo. Se ben ricordo, è in una città italiana invasa dai rifiuti che, anni fa, si festeggiò il Capodanno come se nulla fosse, convinti che dovesse solo passare ‘a nuttata.

L’INCOSCIENZA CHE CI PERMETTE DI SOPRAVVIVERE

La nostra filosofia è l’ungarettiana allegria di naufragi – come, non a caso, si intitolava l’edizione 2015 di Popsophia appena conclusa a Pesaro -, un fatalismo che ci condanna al cinismo, ma che in fondo ci salva, perché ci dà quella folle inconsapevolezza per sopravvivere ai momenti peggiori e risollevarci con spregiudicatezza e audacia.
I servizi ordinari sono quelli che sono (nella modernissima Lombardia si sopprimono i treni per assenza di condizionatori a bordo), ma ci lanciamo entusiasti in grandi eventi alla Expo, siamo indebitati poco meno della Grecia ma non ce ne diamo pensiero, la nostra capitale affoga tra scandali e disservizi, ruberie e negligenze, eppure affidiamo ogni speranza di riscatto a ipotetiche Olimpiadi. La nostra forza è l’incoscienza della vacanza: bastano una spiaggia, la buona cucina e un territorio inimitabile per annegare i cattivi pensieri. E il naufragar c’è dolce in questo mare.