Scarpinocc, lumache e taranta: la stagione delle sagre. Vince il sapore delle differenze

A Bergamo ci sono scarpinocc, strinù e polenta taragna. Ma ogni angolo d’Italia ha il suo sapore da festeggiare. È ancora nel pieno la stagione delle sagre e delle feste popolari.
Tradizioni, cultura, turismo. Prodotti tipici, antichi riti della terra, santi patroni, rievocazioni, gloriose battaglie marinare… C’è di tutto e di più nel calendario estivo italiano, e a fine agosto è possibile tirare le somme di un elenco sterminato e fantasioso di sagre paesane nelle quali si specchia il Belpaese.
È un “rosario” di occasioni d’incontro, per far festa, per conoscere e conoscersi. E, forse, riconoscersi. Dal Nord al Sud della penisola, e viceversa. Coi balli e le musiche (due nomi? La taranta pugliese e il liscio romagnolo), e cento forme di canto (in testa le sonorità della Sardegna e i cori alpini del Veneto, del Trentino e della Valle d’Aosta). Poi i mestieri: il pescatore, l’artigiano dell’oro, la ricamatrice, il falegname, la mondina, il panettiere.
Anche all’estero ci provano, ma rispetto all’Italia molte proposte sembrano dettate più dal marketing e dallo spettacolo che non dalla storia e dalle specificità locali: per chi viaggia in Spagna c’è, ad esempio, la battaglia dei pomodori; in North Carolina la gara a chi mangia più insetti; nel Regno Unito si può partecipare alla corsa delle forme di formaggio che rotolano dalle colline del Glouchestershire.
Molto meglio – solo per rimanere ai giorni d’agosto – la festa del formaggio di Malga a Sauris, in provincia di Udine o quella della capra e della fersulla (frittella simile allo gnocco modenese) a Grondona, Alessandria. Più giù a Carassai, nell’Ascolano, ecco la sagra della papera e a San Cassiano, sempre nelle Marche, la sagra dei fagioli. A Villa Santo Stefano (Lazio) si gustano, nella speciale kermesse, gli strozzapreti e lo spezzatino di bufala; Ostia è la sede della sagra della tellina. Se si parla di lumache si va da Crevoladossola, in Piemonte, a Graffignano, non lontano da Viterbo, senza trascurare la “municeddha”, lumaca della gastronomia salentina (a Cannole, Lecce).
Ancora: la sagra del mandorlo a Butera, Caltanissetta, oppure la vastedda fritta, frittella dolce o salata tipica della siciliana Gratteri. Le sagre tricolori spaziano dal pane al vino, per transitare dalle mille altre tipicità nazionali: polenta, salsicce, patate, formaggi d’ogni genere, mirtilli, meloni, funghi, selvaggina, porchetta, mozzarella, pesce (soprattutto fritto), cozze, dolci (al miele, alle mandorle, ai fichi, alle mele, al cioccolato).
È l’Italia dei campanili e delle diversità, del gusto e della compagnia, dell’orgoglio territoriale che punta al sorriso e al peccato di gola più che alla secessione politica. Per il piacere di dirsi molisani o aretini, reggiani o reggini, non meno che italiani. E portare in Europa il valore della differenza.