Stefania Visinoni, street artist con lo stencil: «Cerco le immagini che fanno stare bene le persone»

Lo stencil è forse oggi una delle più popolari tecniche utilizzate dalla street art. Nata probabilmente per il vantaggio di riprodurre in fretta il lavoro, essere più visibili e spostarsi velocemente, nel corso del tempo si è perfezionata aggiungendo più colori e dando illusioni di profondità a vere e proprie opere d’arte.
Molti gli artisti che ci sono cimentati e che lo utilizzano come cifra stilistica. Da Blek le Rat, passando per Nick Walker e Logan Hicks sino a giungere al più noto Bansky.
A Bergamo a far parlare questa tecnica abbiamo Stefania Visinoni, alias STF. L’abbiamo incontrata.
Usi una tecnica particolare, ce la descrivi?

«La tecnica dello stencil consiste nel creare immagini tagliando mascherine da fogli di cartone, plastica o altri materiali facendo in modo che la bomboletta spray possa imprimere sulla superficie una forma molto precisa, “stampata”. Utilizzando più livelli sovrapposti queste “immagini tagliate” sono in grado di comporre figure anche complesse, con una resa quasi fotografica».
Come descriveresti il tuo modo di fare street art? La tua è una tecnica molto usata nella street art ma tu segui anche un percorso un po’ diverso…
«Sicuramente non ho una storia da street artist, mi sono sempre occupata di Arteterapia e solo recentemente ho abbracciato questa professione. Spesso lavoro all’interno delle case ma quando ho l’occasione di lavorare su un muro esterno, come mi è capitato recentemente, faccio di tutto perché il mio lavoro sia pensato per le persone che lo ricevono, ad esempio le persone che abitano in quel luogo, è importante che sia comprensibile, che faccia riflettere o sognare, che sia per loro, non solo per me che l’ho fatto».
Cosa ami di questa tecnica?
«Fare stencil è una cosa che mi piace davvero tanto: mi permette di trovare una sintesi efficace, mantiene il realismo della fotografia ma allo stesso tempo le figure sono già qualcosa di trasfigurato. C’è un parte molto riflessiva e di pazienza nella creazione delle mascherine, è importante la precisione e il mestiere, ma quando arrivi alla fase di realizzazione, accade qualcosa di magico, non riesco mai a prevedere il risultato e c’è lo stupore di vedere come uscirà. L’impressione sulla superficie, l’utilizzo del colore con la bomboletta spray sono parti meno prevedibili e mi piace che ci sia questo aspetto legato al momento, all’improvvisazione, all’emozione…».
C’è un artista a cui ti riferisci o che ti interessa particolarmente?
«L’artista che in questo momento seguo e ammiro di più è Eron, anche se non utilizza la mia tecnica, ma riesce a portare l’effetto della vaporosità dello spray ai massimi livelli e da questo crea opere poetiche dove si incontrano il mondo reale e quello interiore».
Dove cerchi le tue immagini e come le scegli?
«Parto spesso da fotografie che poi elaboro e trasformo in stencil. Realizzo principalmente ritratti, cerco di trovare nei volti quei tratti che li rendono unici e riconoscibili, nonostante la sintesi che la tecnica richiede. Mi piace cogliere l’anima, l’empatia, la tenerezza che sta dentro le persone e mi rende felice poter consegnare un’immagine che comunica queste cose ogni volta che viene guardata. Nel mio studio tengo il ritratto a figura intera dei miei nonni e loro sono sempre con me, anche se non posso più incontrarli da vivi, questa immagine tiene sempre aperto un canale di comunicazione tra me e loro».
Vuoi trasmettere un messaggio con le tue opere?
«Le immagini sono presenze, il lavoro di Arteterapeuta mi ha insegnato che ci sono immagini che curano e questa sostanzialmente è la mia ricerca, cercare quelle immagini che fanno stare bene le persone, che danno messaggi positivi.
Ad agosto con la mia amica e collega Sabina Lazzarini ho realizzato un’opera molto grande, sotto la tettoia di un lavatoio antico a Villanuova sul Clisi (BS). A seguito del restauro e della riqualificazione del lavatoio in spazio pubblico, inserire un’opera d’arte era importante per ricordare il lavoro delle donne e mantenere l’identità storica del luogo. Abbiamo quindi immaginato di dare un volto a queste donne del passato, che nell’immaginario collettivo sono soltanto figure chine a lavorare, senza una precisa identità. Ribaltando la prospettiva dello spettatore, le donne sono viste come se l’osservatore fosse sott’acqua, dentro il lavatoio. I volti a volte sono visibili, a volte si percepiscono le interferenze della corrente d’acqua: alcune lavano, altre parlano, ridono, altre ci guardano attraverso l’acqua. Dall’altro lato della tettoia e sulle colonne, il cielo, i panni stesi e le querce, le piante acquatiche e piccoli volatili. Abbiamo lavorato a stretto contatto con la gente del paese ed è stato bello vedere come il nostro lavoro faceva riaffluire i ricordi delle persone che da bambine facevano il bagno nel lavatoio o accompagnavano le mamme a lavare. Il lavoro non è immediatamente percepibile, ma chiede di alzare lo sguardo dalla strada, di entrare nel lavatoio e guardare meglio, scoprire il suo racconto, e quindi l’arte come invito discreto alla profondità, per questo sono soddisfatta».
Tra i tuoi progetti ti è capitato di far avvicinare i ragazzi alla tua tecnica. Perchè pensi che questo sia importante? Quale idea vuoi passare loro?
«Penso che l’arte in generale sia uno strumento per tutti, per i ragazzi è fondamentale perché li aiuta ad appropriarsi di un mondo senza subirlo acriticamente. Questa tecnica è della loro generazione, è un linguaggio che comprendono senza bisogno di spiegazioni, o introduzioni. Quando c’è un laboratorio di stencil ragazzi e ragazze sono tutti interessati, non c’è nessuno che resta indifferente. Al di là del successo di questa tecnica con le nuove generazioni credo sia importante dare un’occasione per mettersi in gioco e parlare di sé, essere protagonisti, non insegnare un mero tecnicismo».
Tra i tuoi lavori, qual è quello che ti sta più a cuore? E, per concludere, quali sono i tuoi prossimi progetti?
«Effettivamente il lavoro che mi sta più a cuore è sempre quello che non ho ancora compiuto ma che sto per fare, è davvero bello fare l’artista perché non si può smettere di essere motivati e di cercare stimoli. Dunque il prossimo progetto sarà la parete di una cucina dove compariranno i quattro bambini che abitano quella casa, sull’altalena, in bici, giocando a calcio…».