La preghiera dopo Parigi. “ Signore, fino a quando continuerai a dimenticarci? Fino a quando nasconderai il tuo volto? Fino a quando?”

Foto: alcuni sopravvissuti degli attentati del 13 novembre

Cara suor Chiara, tu hai pregato per Parigi? Se sì, come? Grazie. Gianna

Cara Gianna, davanti alla feroce violenza di Parigi, lo sgomento e la sofferenza abitano il cuore e diventano grido di un perché che non ha risposta, che si alza verso il Padre delle misericordie. Di fronte a tanta disumanità la domanda che sgorga dal cuore è: dov’è l’uomo? Sì, Signore, dov’è l’uomo in tutto questo sangue, in questi corpi straziati, in questo odio che non si ferma davanti a nulla, in questo dio che sembra chiedere  vendetta per affermare la propria sovranità? Uomini e donne, giovani  vite spezzate, tolte alla vita in nome di un dio carnefice che vuole imporsi e vuole il sangue innocente. Si può chiamare dio, questo dio? Si può chiamare uomo, questo uomo?

ANCHE DIO PIANGE

Le parole non possono esprimere i sentimenti del cuore, e allora il lamento si fa grido che squarcia i cieli e arriva a Dio. Guardando la terra insanguinata  la voce, con il salmista, prega: “ Signore, fino a quando continuerai a dimenticarci? Fino a quando nasconderai il tuo volto?  Fino a quando?” La domanda rimane sospesa nel silenzio, quasi senza risposta e fa percepire, flebile, lo scorrere delle lacrime sul volto del Dio di Gesù. Sì, anche Dio, come noi, piange! Piange i suoi figli sfigurati dall’odio e dalla violenza, dalle brutture che solo un cuore indurito può provocare senza alcun rimpianto. Piange per le vittime e per i carnefici, perché entrambi sono suoi: li ha plasmati sul palmo delle sue mani, li ha creati a sua immagine e somiglianza, ha infuso in loro il suo spirito, li ha amati con cuore di Padre e con viscere materne, li ha posti nel mondo quale segno della sua gloria. Piange perché vede in quei figli continuare la passione del suo unico Figlio che si consuma fino alla fine del mondo. La nostra impotenza è anche la sua di fronte a una libertà ferita che non conosce il linguaggio dell’umanità, dell’amore, ma solo quello dell’odio.

TACE E ASPETTA

Lui rimane, nel silenzio, l’unico linguaggio della tenerezza che continua ad accogliere, a consumarsi, e ad attendere i figli che rientrino in sé stessi, si ravvedano e ritornino nell’abbraccio della sua misericordia. Lui rimane lì nell’attesa, indicando nel suo figlio l’unica Parola che l’uomo può accogliere per uscire dal vortice dell’odio, per aprire la via della riconciliazione e del perdono. E noi, con Lui e come Lui, vogliamo continuare a rimanere in questo silenzio che non è rassegnazione ma spazio in cui attingere la forza per resistere al male. Un silenzio che si fa preghiera, che interroga il mistero della vita e della morte, che attraversa la paura dell’oggi così nebuloso e che non vuole rimanere al venerdì santo, ma aprirsi all’alba del mattino di Pasqua. Dio ha disteso le sue mani per circondare i confini dell’universo, si è proteso tanto che la sua solidarietà con noi è garantita anche nei meandri e elle situazioni più lontane. Il più derelitto, il più disperato lo sentirà vicino e fratello.

TUTTI DOBBIAMO CAMBIARE

Qui sta la nostra fede. Essa ci dona la forza della resilienza per essere solidali con tanto dolore, per trovare vie di vicinanza, di partecipazione di un dolore che è anche il nostro. Ma ci deve anche dare la forza per convertire cuore e mente. Abbiamo tutti bisogno di cambiare vita: dai potenti che governano il mondo, a coloro che dirigono queste atroci violenze, alle istituzioni e organizzazioni, agli uomini e alle donne che non sono sulla scena del mondo. Le religioni si uniscano per creare ponti e abbattere muri, per affermare il messaggio di pace che esse racchiudono e per aborrire ogni forma di integralismo che sfigura la dignità dell’uomo. Questa sofferenza non passi invano! Da queste macerie sorga l’alba di una nuova umanità: “Nella tua misericordia abbiamo confidato. Gioisca il nostro cuore nella tua salvezza e canti al Signore che ci ha beneficato”.