Natale. Il Dio bambino, fragilissimo

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio (Vedi Vangelo di Luca. Per leggere i testi liturgici della solennità del Natale, messa di mezzanotte, clicca qui).

COSÌ NASCE IL FIGLIO DI DIO

Un bambino sconosciuto, di genitori sconosciuti, nasce in un angolo sperduto dell’impero romano. Nasce fuori casa perché incrocia un evento – il censimento – comandato dai lontani padroni politici del paese. Nasce in una stalla, “perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. Forse i due giovani sposi sono ospiti di parenti a Betlemme. La casa è una stanza con la stalla nell’angolo, oppure una casa addossata a una grotta che fa da stalla. L’alloggio è la parte dove la famiglia vive abitualmente. Lì, dove c’è gente, dove ci sono i bambini, non è il luogo adatto per il parto. Il parto avviene nella stalla e il neonato viene collocato nella mangiatoia. Così nasce il figlio di Dio. Nessuno sa dell’evento. Vengono a saperlo, in maniera straordinaria – vedono i cieli aprirsi sopra di loro e gli angeli che cantano – i pastori, marginali, mal visti, mal considerati. Loro soltanto sanno. Sulla scena dimessa, che avviene ai margini di tutto: sia la grande storia, sia la piccola storia locale, si apre il cielo. E inizia una straordinaria festa su quella stalla.

LO PRENDIAMO IN BRACCIO

Dio, questa notte, possiamo prenderlo in braccio: è un bambino. Lo prendiamo in braccio e vorremmo parlargli, dirgli tante cose. Noi siamo fatti così: più gli avvenimenti ci superano più siamo presi dalla frenesia di capire. Vorremmo capire chi è, che cosa vuole, che cosa ci chiede. Ma il bambino non parla. Che strano: il figlio di Dio che è la Parola non parla. Piange, ride, ci guarda. Nient’altro. Eppure, nonostante lo strano mutismo di un neonato, tutti i genitori che hanno avuto un bambino dicono che quel cucciolo d’uomo ha sconvolto la loro vita. Dopo il suo arrivo niente è più come prima. Dunque il bambino dà moltissimo senza dire nulla. Dà moltissimo solo perché c’è . Di conseguenza se noi, che lo abbiamo in braccio, non lo accogliamo, il bene enorme della sua presenza non conta nulla ed è come se non ci fosse. Succede così a tanti bambini nel mondo. Non danno nulla perché non c’è nessuno che li accolga, che ascolti il loro pianto e che goda dei loro sorrisi.

CHE COSA VUOI DA NOI?

Immaginiamo dunque di avere in braccio il Bambino di Natale e immaginiamo di parargli. Che cosa vuoi da noi? Non ci dici nulla. Il tuo mutismo lascia totalmente libero lo spazio della nostra libertà. Se il bene che intravediamo dalla tua presenza arriva a scaldare il nostro cuore, allora il fatto che sei qui, che ci sei, che non sei in grado neppure di chiederci qualcosa, ci commuove, ci riempie gioia. Tu, nostro Dio bambino, non ci chiedi nulla. Possiamo solo noi, noi e non tu, immaginare che cosa vuoi da noi. Sappiamo solo che l’amore attende di essere liberamente riamato. E l’amore non è mai così triste come quando non è riamato.

LE MANI IMPOTENTI DI OGGI, LE MANI INCHIODATE DI DOMANI

Adesso sei bambino. Domani ti metteranno in croce. Oggi hai le manine impotenti di un bambino. Allora le tue mani forti di adulto non potranno fare nulla perché saranno inchiodate. E anche sulla croce dirai poche, pochissime parole. Parlerai con il Padre, per dirgli che ti senti abbandonato da lui. Parlerai con la madre e il discepolo per affidarli l’una all’altro e parlerai a un delinquente che muore con te per dirgli: “Oggi sarai con me in paradiso”. Troviamo una mirabile coerenza fra quello che farai allora, alla fine, con quello che fai stanotte, all’inizio. Ti offri. E basta. “Ah quanto ti costò l’avermi amato”, cantiamo a Natale. Non permettere che ce ne dimentichiamo, Dio Bambino. Non permetterlo.