La studiosa Rita Sala, ad esempio, sostiene da tempo l’ipotesi che il grande scrittore non fosse per niente allineato con il regime elisabettiano, assai crudele con i dissidenti, specialmente i cattolici, ed anzi fosse nascostamente molto vicino ad essi. Altri hanno fatto notare come uno dei miti shakespeariani, l’amore, potrebbe non essere esattamente quel mito che sembra. Spezzando molti cuori cibatisi di Romeo e Giulietta, alcuni hanno insinuato che la tragedia dei due giovani amanti potrebbe voler dire addirittura l’opposto di quello che noi abbiamo sempre pensato. Per esempio che i due hanno pagato con la morte la loro avventata passione, l’infrazione di tabù familiari e sessuali. Che il voler dimenticare sé, il consegnarsi completamente nelle mani di un altro, fosse in realtà già di per sé un desiderio di morte, di rifiuto di ogni possibilità costruttiva e familiare. Come si vede, il genio lascia pensare tutto e l’opposto di tutto di sé e della sua opera.

Ancora oggi è impossibile non sentire un sottile brivido quando si legge per la prima, o rilegge per la centesima volta (sono queste le trappole dei geni) quel “To die, to sleep. To sleep, perchance to dream”, cioè “morire, dormire. Dormire, forse sognare” che ha aperto baratri di interpretazioni su che cosa sia davvero la vita per Shakespeare. E non solo per lui, perché lui è arrivato con il suo fascino fino ai grandi dubbi del Novecento. A Pirandello, per esempio.
Come in quel passo che abbiamo posto in apertura in cui l’intrepido cavaliere, ora diventato un tiranno senza pietà (e trascinato da un “amore” divenuto ancora una volta ossessione, schiavitù, volontà di morte) si chiede se una vita interamente affidata al sogno di gloria, al potere, alla sua inesorabile fine, non sia altro che il delirio di un folle convinto di vivere ed invece consegnato a una morte inavvertita ma ancor più reale.
Il Bardo di Strafford-on-Avon da più di quattrocento anni ci sta dicendo che non l’effimera fama, non la fugace apparizione sul palco, non il potere a tutti i costi ci daranno il senso profondo della vita, né ci indicheranno la strada per la pace e la felicità. Di noi si parla in queste storie, dunque, a quattro lunghi secoli di distanza. Ed anche questo è il segno del genio.