Preti che vanno in convento. Francesco – quello di Assisi – ha un consiglio molto particolare. Interessantissimo. Leggete

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri

Pace e Bene! Anzitutto grazie per l’editoriale e per i commenti.

UN SUPERIORE NON CE LA FA PIÙ E VUOLE MOLLARE

Mi permetto di intromettermi non con parole mie, bensì con quelle della tradizione francescana. C’è un aneddoto che ho avuto modo di recuperare ed approfondire grazie alla meditazione di fra Marcello Longhi, custode del convento dei frati cappuccini di Bergamo, durante il ritiro di Quaresima che ho vissuto con le consorelle e confratelli. Forse è utile per mettere a fuoco maggiormente questa realtà, anche contestualizzandola nell’ambito del Giubileo della Misericordia.
Siamo nel 1222 d.C. La Chiesa è immersa in tempi burrascosi, sicuramente molto più oscuri di quelli attuali. Dilagano vizi e corruzione a tutti i livelli della gerarchia e contro questi malcostumi si formano i primi movimenti ‘poveri’ che hanno come obbiettivo quello di ricondurre la Chiesa alle sue origini evangeliche. Tra tanti ha una capillare diffusione il movimento francescano, nato dall’esigenza di seguire il Cristo alla maniera del ‘poverello d’Assisi’ Francesco. Però, ancora quest’ultimo vivente, ben presto i frati iniziano a sopportare difficilmente l’austerità dello stile di vita proposto loro. Allora cominciano i distinguo e le deviazioni … si formano diverse correnti, alcune delle quali deformano totalmente la visione francescana. Tanti decidono di ‘lasciare’, altri di aderire ad un ordine religioso diverso.
Un frate (individuato dai commentatori nella figura di un custode di convento) non ce la fa più. Vi sono troppe difficoltà nella fraternità che si trova a servire. Il frate in questione è ormai convinto che il servizio di custodia a cui è chiamato è diventato un ostacolo definitivo per la sua vocazione e sospetta che stia indebolendo la sua fede.

SAN FRANCESCO GLI RISPONDE: QUESTO È IL TUO EREMO

Francesco viene a sapere della difficoltà e della sofferenza di questo suo fratello e non esita a scrivergli (o a dettare la lettera per lui, dato che ormai la sua salute era ridotta ai minimi termini). Nasce un documento bellissimo, in pieno stile francescano: “Lettera ad un ministro” (FF. 234 – 239). Eccone un brano dall’edizione 2012:
«[…] Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori. E QUESTO SIA PER TE PIÙ CHE STARE APPARTATO IN UN EREMO. E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.»
Credo che calzi a pennello e che da solo possa dare una visione evangelica, ed azzardo il termine “serafica”, alla notizia di questo nostro fratello che ha deciso di ritirarsi a vita monastica.
Il Signore benedica lui e ci benedica tutti.
Grazie. Eugenio