Il progetto Caritas “A casa verso l’autonomia”: se la rinascita incomincia da un tetto

Un sentimento di rinascita, per ritrovare una parte di sé che sembrava perduta per sempre. Così Michele Finazzi, responsabile del progetto della Caritas Diocesana “A casa verso l’autonomia” definisce il sentimento che accompagna i beneficiari del progetto che si basa sull’approccio “Housing First” (ossia la casa intesa come diritto umano primario) e che punta al reinserimento nella società di persone che provengono da grave marginalità e da un utilizzo cronico di sostanze stupefacenti. Questo percorso rappresenta l’evoluzione del progetto sperimentale Rolling Stones, trasformatosi in unità assistenziale a bassa intensità. Il progetto, partito nel 2009, ha portato alla luce la difficoltà per la rete dei servizi presenti sul territorio provinciale di rispondere ai bisogni dell’utenza fragile, per assenza di personale sanitario, assenza di strutture di residenzialità leggera e che prevedano l’accoglienza per lunghi periodi. Anche le pur positive e numerose esperienze di housing sociale attivate non rispondevano, infatti, adeguatamente al bisogno, in quanto prevedevano non solo la presenza di personale esclusivamente educativo (per un numero ridotto di presenze settimanali) ma anche un livello di autonomia elevato e una successiva evoluzione in tempi ristretti (6 mesi – un anno) verso un’autonomia alloggiativa. L’esperienza dei servizi ha invece evidenziato la presenza di una quota di soggetti che necessitano di una forma di accoglienza per lunghi periodi, che offra supporti nella quotidianità, ma che al contempo sviluppi autonomie possibili. Da qui l’evoluzione del progetto anche attraverso l’accreditamento: il primo passo è stato dunque l’assegnazione di un vero e proprio spazio abitativo a soggetti che provenivano da esperienze all’interno di comunità terapeutiche e considerati di difficile recupero. “Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che superano i 40 anni e che vengono segnalate dal Sert- spiega lo stesso Finazzi- noi possiamo contare sulla disponibilità di quattro appartamenti a Torre Boldone, per una capienza massima di otto persone: attualmente sono sei gli utenti in carico, più altri due in entrata, quindi a breve la palazzina sarà riempita. Le persone vengono seguite da due operatori per tutto ciò che riguarda i loro bisogni (da quello educativo all’affiancamento per le visite mediche), ma senza un’assistenza 24 ore su 24: gli utenti sono al centro di questo progetto, che dà loro la possibilità di vivere all’interno di una casa e di godere di ampia autonomia, pur con delle regole da seguire. In questo modo passano da una condizione di disagio a una di pseudo-normalità”. Gli obiettivi sono dunque medio-lungo termine e sono focalizzati al mantenimento di un equilibrio e, laddove possibile, di uno sviluppo dello stesso. Le difficoltà e le fatiche non mancano, specialmente quando dall’enorme gioia iniziale che accompagna la consegna delle chiavi si passa a dover fare i conti quotidianamente con il cammino intrapreso. Per chi ha alle spalle anni di strada, di dormitorio, infatti, questo passaggio è più complicato di quanto si possa immaginare, specialmente se aggravato da condizione di salute precarie. Eppure non mancano le storie di chi è riuscito a dare a se stesso un’altra possibilità.“Ho in mente l’espressione di gioia e di soddisfazione di un utente che sta per ottenere l’assegnazione di una casa popolare e che ha trovato un lavoro: in poche parole è stato in grado di recuperare una nuova dimensione di vita- ha aggiunto  Dopo un percorso di due anni e mezzo ora può finalmente rigiocarsi nella socialità. Non è tutto rose e fiori, ma sono esperienze come questa che offrono speranza a tutti, soprattutto a chi non ce l’ha fatta”.