La scelta di Paola, 29 anni, suora missionaria dell’Immacolata: “So di andare controcorrente. Ma ho trovato il mio posto”

Quando penso a mia cugina Paola ricordo una bambina che giocava con me a pallavolo nei pomeriggi d’estate; oppure la ragazza che, tornata da scuola, mi faceva compagnia durante il pranzo scambiando due chiacchiere. Ma Paola è anche l’amica che mi ha sempre coinvolto con il suo entusiasmo, spronandomi a rendere bella la mia vita. Adesso, di fronte a me, c’è una giovane donna che da poco più di un mese ha scelto di dare un sapore intenso alla sua vita, professando la sua Fede e ricevendo i primi voti come suora Missionaria dell’Immacolata.

Con il senno di poi è molto facile dire «Si sapeva che sarebbe andata così!».  Certo è che quando Paola ha comunicato la sua decisione in famiglia ha preso tutti un po’ alla sprovvista. Allo stupore, però, subito è seguita una grande gioia. Perché Paola ha sempre portato gioia e ora lo farà ancora di più, oltre i confini di casa sua e della sua parrocchia d’origine. La sua è una scelta di vita che spesso viene definita contro corrente da un giovane che, come è capitato a lei, mai si potrebbe immaginare un futuro come il suo. Eppure anche Paola ha seguito una corrente che l’ha trascinata, piano piano, verso una scelta particolare.

Ho lasciato che fosse proprio lei a presentarsi e a raccontare la sua storia, a ripercorrere le tappe di un cammino intervallato a volte da soste, bivi, terreni non lastricati, discese e molte, molte salite; un cammino difficile e dolce lo stesso tempo che ora la condurrà verso nuove e lontane direzioni, passo dopo passo nel mondo, con quel velo simbolo di un piccolo e grande Sì.

«“Suor Paola Locatelli, 29 anni, residente a Milano.” Sono queste oggi i dati sintetici che descrivono la mia identità. Tuttavia, dietro a queste semplici credenziali, c’è nascosta una storia di vita. Una vita semplice e grandiosa che ha inizio proprio nella mia cara terra bergamasca.

Sono nata nel 1987 sullo scadere di ottobre. Un’infanzia felice, vissuta tra gli affetti di casa: giochi in giardino con fratelli e cugini, partite a carte con i nonni, passeggiate in montagna, feste grandi in compagnia di tutti i parenti. Niente di strano insomma: una vita bella.

C’era sempre però uno sguardo rivolto altrove. Ricordo che durante un incontro di catechesi, avrò avuto circa 7 anni, la catechista pronunciò questa parola: “missionario”. Io non sapevo assolutamente quale fosse il significato del termine, eppure entrò dentro di me, nel mio cuore, come un dardo di Cupido. Nel tempo questa parola, soprattutto grazie alle testimonianze dei missionari di Prezzate -la mia parrocchia-, iniziò a prendere contorni che mi attiravano sempre di più: partire per terre lontane, aiutare i più poveri, vivere nella semplicità.

Durante l’adolescenza, come la maggior parte dei miei coetanei, ebbi un periodo di crisi nella fede: il mondo cominciava a non essere più tutto roseo, vissi i primi lutti e compresi in fretta che la vita è faticosa e che i valori acquisiti fanno a pugni con la realtà. In questa crisi ebbi la grazia di incontrare i ragazzi dell’Operazione Mato Grosso. Li frequentai solo pochi mesi ma grazie a loro riscoprii la missione e il desiderio di vivere una vita semplice e per gli altri. Il come, però non riuscivo ancora a capirlo.

Ho cominciato a sperimentare più vie: impegno in oratorio, servizio civile, gruppi di volontariato. La giornata era ricca di impegni e soddisfazioni ma mancava sempre qualcosa. Questa mancanza creava una forte tristezza. Nacque in me questa domanda: “Signore, cosa vuoi da me?”. Avevo bisogno di capire quel come, perché sentivo che lì c’era la risposta alla forte inquietudine che avevo in cuore. Decisi di frequentare degli incontri organizzati dal PIME: due anni di incontri mensili con al centro un’esperienza in missione. Fu l’inizio di un grande cammino. In questi due anni di incontri ho potuto verificare nella fede il desiderio di donarmi che avevo in cuore. L’esperienza in Bangladesh ha confermato la bellezza di una vita vissuta altrove, tra popoli sconosciuti che diventano una nuova famiglia a cui voler bene. Mi colpì il modo in cui le suore del PIME vivevano tra quella gente. Che fosse quello il come di cui andavo cercando? La paura imperava e una certezza dimorava in me: “Io suora mai!”.

Eppure il Signore quando chiama non si arrende e, lasciando libero il suo interlocutore, comincia a fare una corte spietata. Io mi attivavo perché la missione entrasse concretamente nella mia vita: mi iscrissi ad una facoltà che mi avrebbe reso cooperante internazionale e cominciai a legarmi a gruppi che potevano portarmi altrove, per vivere la mia missione. Lui mi mostrava come la vita senza la Sua presenza fosse una vita senza senso, mi faceva sentire sempre più fortemente la necessità di condividere quella Fede che piano piano cresceva dentro di me e mi dava una carica infinita. Mentre io cercavo la mia missione, lui mi invitava a collaborare alla Sua missione. In questo lungo braccio di ferro fu Lui a vincere.

Così, nell’ottobre del 2012, iniziai il mio cammino di formazione con le Missionarie dell’Immacolata, le suore del PIME. Per cominciare questo cammino ho dovuto lasciare tante cose: famiglia, parrocchia, progetti. Non è stato certamente semplice, ma sempre mi ha sostenuto la certezza che in Lui ogni sacrificio è destinato a portare frutto, il dieci, il trenta, il cento per uno. Ed effettivamente è stato così.

Ho vissuto gli ultimi quattro anni a Monza, nella comunità formativa. Sono stati anni intensi in cui ho capito più concretamente cosa significhi consacrarsi a Dio e alla Sua missione nella Chiesa.

La scorsa estate ho avuto in dono la possibilità di stare tre mesi in India, per vivere un’esperienza missionaria prima della professione religiosa. Sono stati tre mesi straordinari in cui ho incontrato tutta la mia impotenza di fronte alle povertà materiali e spirituali della gente a cui ero stata mandata. In questa mia miseria ho però scoperto l’infinita misericordia di Dio che manda proprio me -debole strumento nelle Sue mani- ad annunciare a tutti la bellezza di sapersi figli di un Dio che è Padre. Se lo hai conosciuto non puoi tacerlo. A me il Signore chiede di annunciarlo con la vita, offrendola tutta per la venuta del Suo Regno.

Ora mi trovo a Milano, agli inizi di questa nuova vita da suora missionaria. Sono ancora tante le cose che devo capire e sono cosciente che il cammino del discepolato chiama ogni giorno a fare un passo in più, e non sempre è semplice. Spesso la gente mi chiede il perché di una scelta che a molti pare uno spreco, una pazzia. Quando ero adolescente, spinta da un desiderio che creava inquietudine, feci una domanda a Dio. Egli, con delicatezza e cura immensa, mi ha risposto tra le righe del quotidiano. Una risposta che era una chiamata a fidarsi di Lui e seguirLo con radicalità, per raggiungere a nome suo i fratelli lontani che ancora non hanno conosciuto l’immenso amore del Padre. E per me, non c’è niente di più bello.»