Il mistero della Trinità, trionfo delle relazioni

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Vedi Vangelo di Giovanni 3, 16-18).

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La festa della Trinità è relativamente tardiva. Per quasi tutto il primo millennio, la Chiesa non ha celebrato una festa specifica dedicata alla Trinità. E si capisce. La Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito santo sono già protagonisti della liturgia e di tutti gli aspetti della vita cristiana. In qualche modo della Trinità si parla ogni giorno. Si può dire, dunque, che la festa nasce “dopo”, come per ribadire ciò che si sa già, per sintetizzare in un solo giorno ciò che è diluito lungo tutto l’anno.

La festa in cui il Dio cristiano dichiara le sue generalità

Si tratta, in effetti, della festa che risponde alla domanda di sempre: “Chi è Dio?”. L’annuncio cristiano della Trinità, trova le sue “premesse” nell’Antico Testamento. Mosè incontra Dio sul monte. È la prima lettura di oggi. Il Signore gli passa davanti e Mosè sente Dio che proclama: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”.

Dunque il Dio di Mosè è già un Dio aperto all’uomo, che perdona, il Dio che “ama stare con i figli degli uomini”. Il Figlio che si fa uomo tra gli uomini è la conseguenza “logica” di un Dio siffatto. L’amore che lo spinge verso gli uomini lo spinge a dare il Figlio, uomo tra gli uomini. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito”, dice il vangelo. E l’amore è così “forte” tra Padre e Figlio che è egli stesso persona, la “terza persona”, lo Spirito-Amore. E si arriva così alla Trinità: “Amante, amato e amore”, come l’ha definita genialmente s. Agostino.

Il trionfo delle relazioni

Il Dio cristiano, dunque, è un Dio nel quale trionfano le relazioni. Una differenza abissale esiste tra questa idea e quella di altre religioni. Molte di queste, infatti, adorano un solo Dio ma lo vedono soprattutto come “altro”,  esclusivamente trascendente. Di conseguenza, faticano a vederlo come Padre, come fraterno, vicino, “amante”. Il monoteismo dell’Islam, per esempio, è profondamente diverso da quello cristiano.

Non è allora fuori posto vedere le conseguenze più “lontane” dell’annuncio cristiano come le propaggini del mistero che è all’inizio di tutto. Si può dire, per esempio, che è partendo dalla Trinità che si spiega l’esistenza della Chiesa. Non è pensabile che il cristiano si salvi da solo quando Dio stesso non è “solo”.

Si può tirar fuori da qui tutta una serie di conseguenze, tanto forti quanto entusiasmanti. Il credente che si limita a coccolarsi il proprio Dio come se fosse di sua proprietà, rischia di mettersi fuori dalla logica del Dio Trinità. Un Dio così estroverso non può giustificare un discepolo così introverso.

L’apertura del cristiano agli altri è scritta nel mistero del Dio che si apre in sé per aprirsi a noi. Siamo invitati a essere trinitari.