Dal centro etnoclinico Forme un aiuto ai migranti per superare i traumi del viaggio

Un centro nato per dare sostegno ai richiedenti asilo – ma non solo – che si trovano in Bergamasca: si tratta del Centro Forme (FOrmazione, Ricerca e Mediazione Etnoclinica), gestito dalla Cooperativa Ruah in collaborazione con Caritas Diocesana Bergamasca. “Il nostro è un approccio particolare – spiega Rita Finco, antropologa e pedagogista responsabile del centro -: si lavora partendo dalle relazioni e all’interno del modello sociale. Non sono né interventi psichiatrici classici, né tanto meno solo psicoterapeutici. E’ un luogo di orientamento, riflessione e cura che mira a contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dei richiedenti e titolari di protezione internazionale, vittime di tortura e delle persone o famiglie migranti affette da disagio psicosociale, attraverso la realizzazione di percorsi di accompagnamento etnoclinici individuali e collettivi, in grado di offrire una risposta efficace e coerente ai bisogni espressi dagli operatori e dei destinatari”. Un modello sperimentale unico nel suo genere e che riunisce professionisti di diverse formazioni uniti dalla passione per la persona, le sue culture e le sue forme di esistenza. Fanno parte dell’équipe la dott.ssa Finco, Pietro Barbetta, Direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia e professore associato di Psicologia dinamica dell’Università di Bergamo e Fulgenzio Rossi, ex primario dell’Ospedale di Treviglio e specialista in psichiatria. Ma come funziona il Centro etnoclinico? Per accedere si seguono diverse fasi: l’équipe di operatori presente nel centro di accoglienza in cui si trova il richiedente asilo che necessita di questo tipo di aiuto compila un’apposita scheda di richiesta di consulenza etnoclinica. L’équipe degli operatori e l’équipe della dott.ssa Finco si incontrano poi di persona per discuterne e valutare se effettivamente ci sia bisogno o meno di intraprendere un percorso di cura. In caso di risposta positiva, si attiva il percorso con l’ospite, di durata variabile e al termine del quale vengono effettuate delle verifiche per assicurarsi che effettivamente il paziente sia riuscito a superare il trauma. Durante il primo anno di lavoro, il 2016, sono state 30 le persone prese in carico dal Centro etnoclinico; 19 quelle prese in carico nel 2017 (dati aggiornati al 31 maggio). La maggior parte dei pazienti proviene da Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia e Ghana. “Il disagio psichico  – continua Finco – è connesso alle complesse vicende all’origine della migrazione stessa, alla natura spesso traumatica del viaggio e alle istanze poste dell’adattamento a un’area geografica e culturale vissuta come “altra”, quindi aliena. Si tratta dunque di una sofferenza psichica che non può essere affrontata con gli strumenti classici. Il lavoro sulla cura e sul benessere del migrante portatore di sofferenze è preventivo rispetto al cronicizzarsi del disagio e di possibili ulteriori effetti problematici a livello sociale. Le pratiche di accoglienza e cura che proponiamo sono costruite su un approccio che guarda al migrante come ad una persona con una propria storia all’interno di storie, consente di inserire il disagio in una processualità e di considerare il sintomo come esito dinamico all’interno di relazioni e contesti pre e post migratori. In ambito più strettamente clinico, l’obiettivo terapeutico da perseguire è quello di costruire un ponte relazionale tra la persona nel qui ed ora e il suo mondo significativo là e allora, attraverso una nuova narrazione capace di fargli superare gli snodi rimasti insoluti nella fase pre-migratoria e  ripensare lo sradicamento e il trauma in una prospettiva più coerente e accettabile”.