Don Adriano Bianchi, presidente Acec: “Le sale parrocchiali svolgono un servizio di evangelizzazione e di carità culturale”

Molte sale della comunità vantano storie di 60 anni ma alcune anche di 80 – e negli ultimi decenni hanno subito un lungo processo di trasformazione per fronteggiare la crisi e adeguarsi ai cambiamenti. Abbiamo chiesto a don Adriano Bianchi, presidente Acec (Associazione cattolica esercenti cinema), quali linee operative siano emerse negli ultimi tempi pensando al futuro di queste strutture.

Quante sono le sale della comunità in Italia e quali, oggi, il loro volto e la loro mission?


“Sono circa 850: l’attività cinematografica resta la principale (94,51%), ma sono anche sede di conferenze, incontri, spettacoli teatrali, concerti dal vivo. Loro mission rimane quella del servizio alla comunità ecclesiale; fondamentale l’impegno pastorale.
Attraverso le Sdc siamo chiamati a curare l’anima della comunità.
 Cinema, teatro, mezzi di comunicazione ci consentono di svolgere un prezioso servizio di evangelizzazione e di “carità culturale” tentando di mettere in pratica l’invito di Papa Francesco a compiere opere di misericordia, in questo caso, spirituali.

Qualche esempio?


“Cercare di costruire una cultura e mentalità della sopportazione, ossia del “sub – portare”, del farsi carico di chi è molesto. Collocato nell’attualità, significa accogliere chi è “indesiderato” come lo sono i migranti. “Istruire gli ignoranti” e “consigliare i dubbiosi” può invece tradursi nel suscitare domande, offrire chiavi di lettura e messaggi che orientino, educare ed educarci al discernimento in favore di scelte buone. Ma c’è anche un discorso molto “laico”: l’attenzione al pensare, all’interiorità, alla ricerca di risposte alle domande dell’uomo che appartengono a chiunque. L’arte, l’estetica, la bellezza di narrazioni e simboli che prima di muovere la testa muovono la pancia e il cuore, suscitano domande e questo può essere un percorso di prima evangelizzazione. Se non lo diventa, è pur sempre un modo per “preservare” l’umano”.

Che cosa chiede e che cosa si aspetta il vostro “pubblico”?


“Al di là delle nostre iniziative, cerca una “piazza”, un incontro. Molto del nostro lavoro, che peraltro richiede preparazione spirituale e competenza professionale, si gioca intorno al clima di accoglienza e disponibilità che sappiamo creare: è questo a fare la differenza. Prima della sala viene la comunità: vogliamo anzitutto costruire legami”.

Quali i punti deboli di questo scenario?


“Dovremmo lavorare un po’ sui modelli di gestione, occorre sicuramente colmare un gap gestionale. La maggior parte delle sale (76,71% ) è economicamente autosufficiente ma occorre creare una rete sul territorio, presidiare le scuole attraverso il contatto con gli insegnanti, curare la comunicazione. Facendo sistema si è più produttivi e più presenti nel mercato cinematografico e nel panorama culturale. A livello ecclesiale occorre integrarsi con gli altri strumenti di comunicazione, giornale e radio diocesani, per creare un sistema integrato e più performante.

 La “geografia” delle Sdc rivela una presenza disomogenea sul territorio con una forte concentrazione al nord, una discreta presenza al centro e una presenza minimale al sud”.

Come mai e come si può intervenire?


“Si tratta di realtà per lo più nate insieme agli oratori parrocchiali, da sempre molto più diffusi nelle regioni del nord, in particolare Piemonte, Lombardia e Veneto. Oltre a questo dato storico, le Sdc del nord hanno retto di più alla crisi sapendo affrontare meglio i cambiamenti e avviando forme di collaborazione con le istituzioni locali. Non esiste un modello predefinito, tuttavia al sud ci potrebbe essere un’opera di recupero legata a un protagonismo diverso delle parrocchie, ma serve un lavoro di motivazione e convinzione a livello di vescovi e parroci. Del resto, durante l’ultima assemblea generale di maggio, il segretario generale della Cei mons. Galantino ha tracciato ai vescovi italiani un quadro dei media diocesani all’interno del quale le sale della comunità costituiscono autentici presidi culturali ed ecclesiali. Grazie al piano di 120 milioni in cinque anni per riattivare le sale chiuse e aprirne di nuove, previsto dalla legge Franceschini, riuscire ad avere almeno una sala della comunità in ogni diocesi potrebbe essere un obiettivo facilmente realizzabile nei prossimi anni”.