Il mio curato parla solo di gioia e di beatitudine. Mi pare un po’ monocorde, nonostante tutto

Il curato della mia parrocchia parla spesso della gioia. Se fosse per lui il vangelo comincerebbe e finirebbe con le beatitudini. Ma ho l’impressione che una insistenza così unilaterale sul tema della gioia finisca per tradire il vangelo stesso. Oggi ho visitato la mia vicina di casa che compie i 100 anni. È triste perché “tutte le persone care se ne sono andate”. Mi risulta un po’ difficile parlare di gioia in una situazione simile. Carla

La gioia del Vangelo non è spensieratezza

Innanzitutto, cara Carla, è necessario ricordare che la gioia del Vangelo non esclude la tribolazione e la sofferenza: la beatitudine che il Maestro ha promesso, infatti, è il frutto buono di coloro che “attraversano” e vivono con Lui ogni genere di tribolazione. Gesù annuncia il Regno ai poveri, la consolazione agli afflitti e promette la ricompensa ai perseguitati a causa del suo nome.

Parlare del Vangelo della gioia non significa estraniarsi dalla realtà con tutte le sue contraddizioni per sognare un mondo dalle tinte “rosa”, ma guardare con lucidità alla concretezza della vita. Il credente è illuminato dalla luce di una promessa:

La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (Evangelii Gaudium 1).

La luce nelle ore oscure. Le parole di Papa Francesco

Sappiamo che la vita riserva a ciascuno prove e difficoltà che, a volte, possono generare tristezza e pianto. È in quei momenti che la promessa del Vangelo sostiene il nostro cammino, illuminando di speranza le tenebre più oscure, donando pace e, persino gioia, al cuore.

Nell’Evangelii gaudium, papa Francesco ricorda:

Riconosco che la gioia non si vive allo stesso modo in tutte la tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. Si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie: «Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere… Questo intendo richiamare al mio cuore, e per questo voglio riprendere speranza. Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà … È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore»” (Evangelii Gaudium 6).

La perfetta letizia di san Francesco

Viene spontaneo pensare anche a Francesco d’Assisi nell’episodio della Perfetta Letizia:

Un giorno il beato Francesco, presso Santa Maria [degli Angeli], chiamò frate Leone e gli disse:
“Frate Leone, scrivi”. Questi rispose: “Eccomi, sono pronto”. “Scrivi disse – quale è la vera letizia”.”Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell’Ordine, scrivi: non è vera letizia. Cosi pure che sono entrati nell’Ordine tutti i prelati d’Oltr’Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d’Inghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanar gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia”.
“Ma quale è la vera letizia?”. “Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, all’estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d’acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: “Chi è?”. Io rispondo: “Frate Francesco”. E quegli dice: “Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro, non entrerai”. E poiché io insisto ancora, I’altro risponde: “Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te”. E io sempre resto davanti alla porta e dico: “Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte”. E quegli risponde: “Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là”. Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell’anima”».

La incrollabile buona notizia

La gioia che il Vangelo promette è fondata sulla speranza che la nostra vita e la nostra storia sono più grandi di qualsiasi pena esistenziale e che il nostro nome è scritto indelebilmente sul palmo delle mani di Dio: “Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino, da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani»” (Is 49,14-16).
Questa è la Buona Notizia che Gesù ha annunciato all’umanità, fonte di speranza e di gioia per tutti.