“Mi piace l’idea che ci siano posti sulla terra dove il sacro rompe i confini”. Monika Bulaj, fotografa e reporter, nel suo ultimo libro “Where Gods Whispers”, “Dove gli dei sussurrano” (Contrasto), racconta un viaggio speciale, sulle tracce di molte fedi, tradizioni, percorsi di spiritualità.
L’autrice – che fra l’altro ha vissuto sulle colline intorno ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo -, raccoglie in questo volume il frutto del lavoro portato avanti per anni a caccia delle tracce del sacro in giro per il mondo. “Non l’ho cercato – racconta – dove ci si aspetta di trovarlo, ma nella vita quotidiana, nei gesti semplici della gente comune”. Ha ascoltato, osservato, aspettato, senza fretta. Nelle sue fotografie ha catturato a volte orizzonti ampi e sconfinati e più spesso particolari, gesti, volti piccolissimi: ma sempre queste immagini introducono in un’altra dimensione, catturano l’invisibile, luoghi e momenti in cui il sacro esprime al massimo la sua carica atmosferica e dove si rompono i confini tra ebrei, cristiani e musulmani. Le immagini in bianco e nero e a colori di Monika Bulaj, insieme ai suoi testi che le accompagnano, vanno alla scoperta delle ultime oasi d’incontro tra le fedi, delle zone franche in cui musulmani e cristiani pregano insieme, raccontano di terre di promiscuità e sincretismo millenari, scomodi ai predicatori dello scontro di civiltà, di luoghi in cui la catena delle vendette si rompe, dove si mangiano le stesse pietanze, si intonano gli stessi canti e si fanno gli stessi gesti. Le fotografie di “Where Gods Whisper” restituiscono la bellezza e la sapienza antica che risiede nella contaminazione. Ci sono i riti dionisiaci dei musulmani del Magreb, il pianto dei morti nei Balcani, i pellegrinaggi nel fango degli Urali, l’evocazione degli dei in esilio oltremare, sulla rotta degli “scafisti” di un tempo, ad Haiti e Cuba, dove la forza spirituale della madre terra diventa rito vudù, santeria, rap mistico, samba, epitalamio e mistero.
Sfogliando il libro, pagina dopo pagina, si segue il mistero della devozione passionale, la manifestazione di fede espressa da mistici e poeti, santi e analfabeti. Le fotografie mostrano i momenti più misteriosi che scavalcano gli steccati eretti dai teologi, la cui successione svela un assieme solido e coerente, una continuità che abbiamo disimparato a osservare, condizionati come siamo dalla superficiale impressione di cataclisma – oggi si direbbe conflitto di civiltà – che ci divide. Lo stesso avviene per i luoghi visitati dall’autrice. Se sono sacri, sono sacri per tutti. Allo stesso modo, il buon santo è buono per tutti. Per non parlare dei gesti della preghiera, dell’uso del corpo come tramite per comunicare con l’Altrove. Il corpo che contiene il segreto della memoria collettiva. Il corpo che non mente.
“Sono cambiata molto nel corso del mio lavoro – spiega la fotografa -, all’inizio partivo cercando immagini per documentare qualcosa. Ora quello che faccio è una cosa semplice, quasi infantile: raccolgo schegge di un grande specchio rotto, miliardi di schegge, frammenti incoerenti, forse mattoni della Torre di Babele”.
Fotografa, reporter e documentarista, Monika Bulaj (Varsavia, 1966) svolge la sua ricerca sui confini delle fedi, minoranze etniche e religiose, popoli nomadi, migranti, intoccabili, diseredati, in Europa e Asia, in Africa e nei Caraibi. All’attività giornalistica e alla collaborazione con numerose testate giornalistiche italiane e internazionali (La Repubblica, Corriere della sera, Internazionale, National Geographic, The New York Times Lens, Al Jazeera), ha affiancato una costante attività didattica nell’ambito della fotografia e del teatro. I suoi reportage letterari e fotografici sono stati pubblicati da Alinari, Skira, Frassinelli, Electa, Feltrinelli, Bruno Mondadori. Il suo ultimo libro Nur. La luce nascosta dell’Afghanistan è stato scelto da Time come uno dei migliori libri fotografici del 2013. Nel 2014 ha ricevuto il Premio Nazionale Nonviolenza, per la prima volta assegnato a una donna.
(Nell’immagine di copertina del volume: durante le cerimonie voodoo ad Haiti, gli iniziati incarnano gli dei che dall’Africa sono approdati sulle spiagge dell’isola al tempo delle prime tratte degli schiavi. © Monika Bulaj)