Papa Giovanni, il Papa della Pacem in Terris, patrono dell’esercito. Perplessità

Mi spiace togliermi dal coro. Ma la notizia rimbalzata con un certo orgoglio sugli organi di stampa, anche locali, mi ha disturbato. Sto parlando del fatto che il santo Papa Giovanni XXIII è stato nominato patrono dell’Esercito Italiano. Una nomina suggellata martedi scorso a Roma con la consegna da parte dell’Ordinario militare per l’Italia mons. Santo Marcianò della Bolla della Congregazione per il culto divino al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale di Corpo d’armata Danilo Errico.

La decisione di nominare Papa Roncalli, patrono dell’Esercito tricolore, ha avuto la sua genesi il 24 ottobre 2011, quando a Giovanni XXIII (allora Beato) venne dedicata nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli di Roma una messa per promuoverne la devozione appunto come protettore delle forze militari. Già allora diverse voci avevano sottolineato l’incongruità di questa scelta.

Certo, Angelo Giuseppe Roncalli è stato figlio del suo tempo e come la totalità dei suoi chierici di allora non si è sottratto dall’impegno del servizio militare svolto nel 1901 nel 73° Reggimento fanteria brigata Lombardia di stanza a Bergamo (anche se le fonti dicono che lo fece perché si arruolò al posto del fratello maggiore, Zaverio, la cui presenza era necessaria in famiglia per il lavoro nei campi). Come non si è sottratto dall’impegno durante la prima guerra mondiale (dal 1915 al 1917 fu cappellano nell’ospedale della nostra città). Credo però sia improprio – per tutti, sempre e in ogni caso – separare un periodo della vita e farne metro di giudizio complessivo.

Anche perché Angelo Giuseppe Roncalli, divenuto Papa, fu autore di quell’enciclica straordinaria, firmata meno di due mesi prima della morte, che è stata la Pacem in Terris. Un’enciclica “segno di contraddizione” perché sostiene che nell’era atomica non è più possibile ammettere la guerra giusta. “Era da sant’Agostino che il cristianesimo, e poi il cattolicesimo romano, affermava esattamente il contrario: c’erano tante guerre ingiuste ma anche delle guerre giuste” (Giuseppe Alberigo). Nella Pacem in Terris, l’enciclica dei quattro nomi della pace – verità, giustizia, carità, libertà –  si legge:

In questa nostra età che vanta la forza atomica è contrario alla ragione (nel testo originale alienum est a ratione che vuol dire è follia, è fuori di testa) che la guerra possa essere ancora idonea a ristabilire i diritti violati”.

Giovanni XXIII non sceglie di scrivere “è contrario alla fede cristiana” ma alla ragione e sostiene che non solo la guerra d’aggressione ma anche quella che pretende di ristabilire i diritti non è più ammissibile.

Sulla pace si misura la fedeltà al Vangelo

Lo sappiamo: la pace è il primo dono di Gesù Risorto (Gv 20) e attorno ad essa i cristiani hanno, nel corso della storia, misurato la loro fedeltà al Vangelo e, insieme, la loro fatica di coniugare, nelle vicende umane, quella buona notizia che non ha altro terreno su cui depositarsi se non la storia stessa. Con due rischi, sempre presenti all’interno della vicenda cristiana. Il primo è quello che potremmo definire una sorta, non troppo velata, di “fondamentalismo” evangelico che, brandendo minacciosamente il Vangelo, evita qualunque forma di mediazione con la complessità della situazione umana. Il secondo, speculare al precedente, è quello di chi ritiene necessario fare i conti con la storia, senza perdersi in eccessivi riferimenti, e, alla fine, giustificare, con la fede, qualsiasi tipo di opzione assunta.

Sono “corti circuiti” che dimostrano la difficoltà dei credenti a pensare, in modo critico, la forma di presenza dentro il mondo. In realtà, sin dagli inizi dell’avventura cristiana, i credenti nel Dio di Gesù si sono mossi seguendo due linee. La prima è quella profetica, segnata dalla denuncia e da una più radicale aderenza al messaggio biblico evangelico (lo shalom che è abbondanza e pienezza per tutti ma anche il volto e la storia di Gesù di Nazareth). La seconda è quella sapienziale più attenta al discernimento e alla ricerca del bene possibile qui e adesso.

Le due linee non si escludono anzi si integrano dialetticamente ma nella storia della Chiesa spesso una ha prevalso sull’altra. Dando a volte l’impressione di aver trasformato la mediazione in compromesso e di aver giustificato, a volte, anche l’ingiustificabile. Papa Giovanni con la sua enciclica ha segnato un punto di non ritorno “per tutti gli uomini di buona volontà”.

Perché non patrono dei costruttori di pace?

Le dichiarazioni seguite alla nomina dicono che Santo papa Giovanni lo si invocherà per proteggere, in primis, chi è impegnato in missioni di pace o in interventi umanitari internazionali. Ci mancherebbe pure che lo si invocasse per legittimare guerre umanitarie e bombe intelligenti.

Confesso però che mi sarebbe piaciuto vederlo patrono di quanti, attraversando e non rimuovendo i conflitti, sono capaci con coraggio di leggere i segni dei tempi e di aprire vie di pace e di riconciliazione. Donne e uomini, e tra questi tantissimi cristiani, che sfidano il disprezzo dei realisti, non smettono di sognare e di battersi ogni giorno perché venga il tempo in cui

Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra.” (Isaia 2,4)