Adriano Galizzi si è costruito un futuro in campagna: «Coltivo mais per comprendere l’essenza delle cose»

Adriano Galizzi nato nell’89, laurea in ingegneria gestionale, ha tradotto la sua passione per la natura e l’ambiente in una professione. Per lui e per tanti giovani come lui il futuro è ricominciato in campagna, in un Paese come il nostro nel quale sono aumentate le esportazioni di prodotti agricoli e l’imprenditoria giovanile nel settore primario è più vivace che mai. Questo simpatico e determinato agricoltore di prima generazione (non proviene da famiglie del settore), ci racconta la sua esperienza, che si è rivelata innovativa e vincente. «La mia azienda agricola sostenibile si discosta dalle tecniche produttive industriali tradizionali, preferendo adottare metodi di coltura biologica, nel rispetto del nostro Pianeta e dell’uomo. Sono su internet: http://www.agrigal.com/it/».

Adriano spiega che «tornare alla terra per noi giovani è sempre più spesso una scelta di vita, perché così si tengono non solo “i piedi per terra” ma si capiscono l’essenza e il significato delle cose. Si vive semplicemente portando a casa molte soddisfazioni come quella di offrire il proprio prodotto. Sudandosi la giornata ci si stressa di meno rispetto a un impiego dietro una scrivania».

Adriano con una laurea in ingegneria gestionale in tasca, come e quando è nata in te la passione per la natura, l’ambiente e la campagna?

«La passione è nata da un semplice orticello, dove coltivando con tenacia ho capito di avere il pollice verde e ho scoperto il mio amore per la campagna. Essendo un grande appassionato di alimentazione e di prodotti agroalimentari sentivo il bisogno di sperimentare e di produrre qualcosa di mio improvvisandomi agricoltore».

Coltivi il mais spinato di Gandino, un’antica varietà che ormai era stata dimenticata. Un amore a prima vista?

«Sì, dopo l’orticello che mi ha aperto nuovi orizzonti, non mi sono spaventato all’idea di coltivare un campo di mais di un ettaro sotto la guida del mais spinato di Gandino, varietà di mais che arrivò nel borgo seriano di Gandino nel 1632. Oggi, grazie ad un progetto di salvaguardia e valorizzazione nato nel 2008 dopo il ritrovamento di alcune pannocchie e di alcuni semi custoditi in Ca’ Parecia, antica cascina gandinese, il mais spinato di Gandino è stato riscoperto in tutte le sue qualità. Ho iniziato dunque sull’onda di un prodotto che era già stato coltivato da altri agricoltori fino agli anni Settanta per poi essere abbandonato per quarant’anni. Quando sono arrivato lì, esisteva già un mulino a pietra che era appena stato acquistato dall’Associazione del Mais Spinato di Gandino che si occupa di rilanciare questo antico seme autoctono, alla quale mi sono iscritto come agricoltore. Ho iniziato a seminare e dopo il primo raccolto si è sparsa la voce che un giovane ingegnere si era dato all’agricoltura. Mi sono iscritto ai Coldiretti ricevendo in cambio aiuto e pubblicità fino a quando dopo solo quattro mesi che avevo iniziato l’attività ho deciso di fare un grande investimento, quello di avviare la produzione di gallette. Ho fatto un anno di sperimentazione, ricerca e sviluppo, dopo di che sono riuscito a trovare un prodotto che finora non era stato immesso in commercio, una galletta “magica”».

Desideri raccontarci la tua avventura nella produzione di gallette?

«Ho acquistato le attrezzature necessarie e ho allestito un laboratorio specializzato, inaugurato nel settembre 2016, è il primo in Lombardia, dove produco una galletta diversa dalle altre. La mia galletta è lavorata con il chicco intero, integrale, è leggera ed ha un profumo intenso che richiama quello del pop-corn e la distribuisco in tutta Italia. Questa magica galletta mi ha fatto vincere svariati premi tra i quali quello della Camera di Commercio per il Progresso economico e l’innovazione. A metà maggio inizierà un laboratorio per le scuole, ospiteremo gli studenti ai quali racconteremo tutta la filiera del mais: dalla semina al raccolto».

Coltivare la terra, seguire il lento trascorrere delle stagioni rappresenta un atto liberatorio?

«Assolutamente sì, penso al mais spinato di Gandino, che coltivo insieme a due collaboratori in tre campi. Si differenzia dagli altri tipi di mais anche a livello estetico: è spinato, le sue sono spighe bellissime, solo a vederle sembrano finte. Quello di Gandino è giallo, gli spinati sono diversi in tutta Italia perché hanno colori diversi. La biodiversità del mais è affascinante, io ero ignorante in materia, è stato interessante scoprire questo mondo. C’è da dire che il mais spinato di Gandino ha il sapore di una volta, quindi il cliente è in grado di capire la differenza tra un mais generico e questo pregiato. Gandino vanta anche un particolare primato: è stato il primo luogo in Lombardia a coltivare il mais. E’ stata questa la scintilla che ha portato alla rinascita di questo mais. Un ritorno alle origini. Per tradizione seminiamo il mais spinato di Gandino il 25 aprile e lo raccogliamo entro il 15 ottobre, secondo come è andata la stagione. Il 15 ottobre organizziamo “i giorni del Melgotto”, la festa del raccolto».

Quali consigli daresti a un ragazzo appena diplomato che vuole intraprendere il mestiere di coltivatore diretto?

«La parola chiave è una sola: cominciare. Ricordo che nel mio orticello avevo piantato 30 piante di vite insieme a zucchine, pomodori, cetrioli, carote, insalata… A furia di tentativi qualcosa nasce. Occorrono caparbietà, fortuna e tanta sperimentazione. Il mio futuro è qui».