Insulti antisemiti. Alberto Mieli, deportato: “A quei tifosi vorrei chiedere: ma cosa c’entra Anna Frank con il calcio?”

«Guarda, le persone che fanno quelle cose, sono dei deficienti. Deficienti perché non sanno che cosa fanno, lo fanno per fanatismo. Per far vedere agli altri che loro sono bravi. Ma sono azioni compiute senza sapere che in realtà fanno una cosa bietta. Pensa che Lotito è andato in sinagoga a chiedere scusa per quello che hanno fatto quei tifosi e per conto della società ha posato una corona sulla lapide dei morti che sta a fianco della sinagoga». Dalla sua casa di Roma, Alberto Mieli segue con grandissima lucidità, nonostante i suoi 93 anni, quanto sta succedendo in queste ore nella sua città dopo che sono stati trovati degli adesivi antisemiti con l’immagine di Anna Frank appiccicati in Curva Sud da tifosi della Lazio. Le reazioni sono state durissime tanto che la Federcalcio e l’Unione delle Comunità ebraiche in Italia hanno deciso di far leggere, nei campionati di Serie A, Serie B e Serie C e del turno previsto nel fine settimana per i campionati dilettantistici e giovanili, un brano tratto dal Diario di Anna Frank: “Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità”. Alberto è uno degli ultimi deportati romani, nei campi di sterminio nazisti, ancora in vita. «Lei ha ragione. Magari quei ragazzi neanche sanno chi era Anna Frank. Guardi, io adesso mi sto riposando perché ieri sera sono stato in un collegio e ho fatto lezione ad un gruppo di giovani. Sono stato accolto meravigliosamente. Ho fatto mezzanotte».

Chi era Anna Frank? Che cosa rappresenta per lei questa ragazza?
Era una ragazza olandese che si nascondeva in una soffitta e fu scoperta all’ultimo e per una spiata. Fu portata nei campi di sterminio. Ho vissuto sulla mia pelle quello che ha subito quella ragazza. Ho passato due anni nei campi di concentramento. Ho dovuto subire tre interrogatori della Gestapo e tu sai la fama che aveva la Gestapo quando interrogava i prigionieri. So che le donne – ne sono sicuro perché l’ho visto con i miei occhi – hanno subito più di noi uomini. Le violentavano, le stupravano. Erano appena adolescenti e non conoscevano che cosa fosse l’amore e il sesso. Venivano mandate su nella baracca adibita a bordello per soddisfare le voglie sessuali delle SS. E ti posso garantire che quelle ragazze non sapevano che cosa volesse dire sesso.

Anna Frank era una bambina. Lei hai visto cosa facevano ai bambini?
Ne ho visti tanti di bambini. E ne ho visti tanti uccidere. Ci facevano il tirassegno: li prendevano per i piedini, bambini di 3/4 mesi. Li facevano dondolare 5, 6 volte e con violenza li tiravano in alto e sparavano. E loro ridevano, facevano scommesse, l’obiettivo era fare centro. Tu pensa, sono stati uccisi un milione e mezzo di bambini. Certo, il caso di Anna Frank ha fatto furore: perché il suo diario è meraviglioso.

Tra le persone fermate a causa delle immagini antisemite su Anna Frank, c’è anche un ragazzino di appena 13 anni. Se avesse di fronte quelle persone, che cosa direbbe loro?
Provo una grande tristezza per quello che hanno fatto. Ma ripeto, lo hanno fatto per fanatismo. Loro vogliono farsi vedere superiori. Per questo le scuse di un presidente di calcio e il fatto che la società ha mandato una corona di fiori sulla lapide di persone che non sono più ritornate, che sono morte, è già un segno di riappacificazione. La polizia sta indagando severamente per trovare i colpevoli. Li troveranno. Ci sono le telecamere. A queste persone vorrei tanto dire: che cosa c’entra con il calcio Anna Frank? Non è compatibile. Posso capire le scritte antisemite. Ci sono state sempre e sempre ho detto che chi le scriveva era un vigliacco perché sono cose fatte sempre di nascosto, senza farsi vedere e in luoghi pubblici ma lontani dal quartiere ebraico. Se si sentono tanto forti, perché non vengono al quartiere ebraico?

Con il tempo che passa, la sua storia e la storia della Shoah rischia di perdersi, di non essere adeguatamente conosciuta dai nostri ragazzi. Quanto è importante far conoscere storie come quelle di Anna Frank, andare nelle scuole, parlare con i ragazzi?
Io, il mio dovere lo faccio. Benché abbia 93 anni. Lo faccio e continuerò a farlo, al punto che ieri sera ho fatto mezzanotte per parlare con i giovani. E non sono un bambino.

E chi o cosa glielo fanno fare?
Il dovere di far sapere ai ragazzi che cosa è successo in quei lager. Un dovere verso quelli che sono morti, che non ci sono più. E finché ce la farò, andrò sempre.