Il Sacro Cuore: le sorti di una fortunata iconografia devota. Un simbolo potente e longevo

Questo testo di don Giuliano Zanchi è tratto dal volume «Le Migrazioni del cuore. Variazioni di un’immagine tra devozione e street art» (Edizioni Dehoniane).

 

Il 27 dicembre 1673, festa liturgica di san Giovanni Evangelista, Margherita Maria Alacoque, giovane monaca ventiseienne arrivata appena due anni prima nel monastero della visitazione di Paray-Le-Monial, confida a Madre Saumaise, superiora del monastero, di essere stata in visione di fronte al Cuore di Gesù «presentato come in un trono di fiamme, più sfolgorante di un sole e trasparente come un cristallo, con la piaga adorabile, circondato da una corona di spine e sormontato da una croce». In quella circostanza le autorità ecclesiastiche competenti, interpellate in merito dalla superiora, si limitano a un consiglio pratico e sbrigativo: «nutrite meglio sorella Alacoque e le sue inquietudini spariranno». Apparendole con il cuore in mano, il Gesù di Maria Margherita Alacoque, dettava alla giovane monaca non solo l’auspicio di una devozione riparatrice che avrebbe dovuto rimediare l’offensiva ingratitudine che l’umanità andava dimostrando, da molto tempo e in diversi modi, ma aveva anche raccomandato di tradurre in un’immagine semplice e comprensibile tutta la grazia del suo cuore svelato. La Santa stessa, con una semplice matita copiativa, aveva tracciato un primo resoconto visivo del Cuore di Gesù, copiato a sua volta verso il 1685 da qualche novizia su un piccolo foglio, ora conservato nel convento della visitazione di Torino. Le immagini poi hanno più vite dei gatti. Esse vanno e vengono nella vita degli umani con sorprendente capacità di adattamento. Migrano come quegli stormi fruscianti che nei cambi di stagione inseguono i climi e assecondano i venti. Spesso indiziate di apparenza, sono in realtà veicoli dell’essenziale. Sono manifestazioni di «una presenza che attraversa una rappresentazione».
Quando ci si accorge che sono di pubblico dominio, hanno già una lunga storia alle spalle, una gavetta talvolta secolare, consumata negli interstizi di quelle pratiche umane la cui forza simbolica non potrebbe sprigionarsi senza di esse. Anche questo piccolo racconto sulle sorti di una fortunata iconografia devota, che ha il suo nucleo di accensione nelle visioni mistiche di una giovane religiosa del seicento, avrebbe potuto partire da tappe ancora precedenti, arretrando persino nei chiaroscuri di certi immaginari arcaici e arcani. Avrebbe per esempio potuto cominciare dall’estinta pianta del Silfio, nota per svariate proprietà erotiche, la cui forma si trova su certe monete antiche, cui qualche teoria fa risalire la forma stilizzata con cui ancora rappresentiamo il cuore. O dalla foglia dell’edera simbolo di Dioniso e dei suoi culti erotici. Avrebbe potuto raccontare dei molti cuori che hanno popolato le mitologie della cultura pagana. Ma anche di tutte le immagini devote del tardo medioevo nelle quali la passione di Cristo viene sintetizzata nell’iconografia della croce ornata delle mani trapassate, dei piedi feriti e del cuore sanguinante. Persino delle accidentate peripezie del cuore nel dedalo della simbologia esoterica e alchemica delle varie culture ermetiche che hanno messo radici all’ombra dell’ortodossia religiosa di convenzione. Si sarebbe potuto anche setacciare la storia dell’arte, in cerca di premonizioni o paralleli, magari cominciando dall’Allegoria della Carità di Giotto agli Scrovegni, in cui un cuore di carne figura già come emblema di una congiunzione in cui gli affetti divini si incontrano con le virtù umane. Ci si poteva concedere il piacere di sostare sul Roman de la Poire, un poema allegorico del tredicesimo secolo, compilato sulla falsa riga del più famoso Roman de la Rose, tra le cui miniature compare la scena di un amante che inginocchiato offre alla dama il proprio cuore in segno di amore. Sarebbe stato curioso inoltrarsi anche nelle derivazioni teosofiche della mistica, con i loro cuori rovesciati, incasellati dentro articolati schemi grafici della vita interiore, complessi come gli algoritmi dei nostri processi digitali. La miniera dei presagi e delle corrispondenze, indietro e in avanti del tempo, è pressoché inesauribile. Ma in questo semplice racconto, rapido e stilizzato, l’interesse era rivolto a quel punto di condensazione, culturale e religioso, nel quale alcune storie individuali e alcune sensibilità collettive, si sono congiunte nel dare forma un’immagine rivelatasi potente e longeva, in grado di veicolare con efficienza sbalorditiva le ambizioni di istanze insieme spirituali e politiche che in quell’epoca erano in cerca della loro affermazione.
La figura di Cristo col cuore sanguinante in mano, anziché rimanere una delle tante variabili illustrative dell’arte religiosa, si è insediata nell’immaginario collettivo con la forza simbolica delle antiche icone, sacramento visivo di un sentire cattolico bisognoso di un nuovo slancio affettivo come desideroso di un rinnovato riscatto sociale. Nei decenni in cui la nuova cultura filosofica va concependo la forma razionale della coscienza soggettiva e la nascente autonomia civile degli stati va ritagliando lo spazio giuridico dei diritti individuali, una devozione scaturita dalla mistica prova a tenere vive quelle ragioni del cuore e quelle forze degli affetti che persino la teologia sembra trascurare.
Emblema di una passione dolente e alquanto striata di risentimento, l’immagine del Sacro Cuore ha saputo anche incitare con la propria aura visiva lo slancio spirituale che sta alla base della grande vitalità caritativa e sociale del cattolicesimo moderno, anch’esso impegnato a garantire, nel già conclamato sviluppo di una civiltà dell’utile, un comune diritto di cittadinanza alle istanze umane della dedizione. La devozione da cui quell’immagine è scaturita, come ha provato a dimostrare Karl Rahner inquadrandone i termini dentro la cornice di una teologia aggiornata, aveva cercato in modo più o meno consapevole di raccogliere i termini della vita cristiana nella loro unità cristologica e nella loro consistenza affettiva. Ma la sua afflitta dolcezza, eletta dai decorsi storici a essere vessillo della mesta militanza credente nei trambusti della gestazione di una cultura moderna e secolare, ha finito per incarnare la ferma nostalgia del cattolicesimo per il suo passato prossimo, devoto e dottrinalistico, persino tinto di intransigenza, di irremovibilità, di vaga e fiera inattualità. Proprio questi accenti ambivalenti, insieme di profezia e di inerzia, di istinto e di introversione, di slancio emotivo e di oscurità intellettiva, hanno fatto la miscela di umori che ne hanno consentito la fortuna. Riapparsa nel mondo della moda, appiccicata alla pelle di una umanità nuovamente tribalizzata, capace di serpeggiare in maniera più o meno esplicita per le strade di periferie in cerca di riscatto, l’immagine devota del cuore continua a rimanere un vettore iconico attorno a cui addensare le rivendicazioni collettive di un’affezione e di una grazia di cui la nostra cultura tecnomercantile ha prosciugato la vita sociale. Mentre l’immagine del Sacro Cuore entra ed esce con spensieratezza in queste sue nuove vite, nelle profonde regioni del sentire cattolico di base la devozione che l’ha prodotta si riaccende in nuove storie di ordinaria incandescenza mistica. Come nel caso di Faustina Kowalska, religiosa polacca che il 22 Febbraio 1931 viene gratificata di un’esperienza mistica del tutto simile a quella di Maria Margherita Alacoque, dando vita alla fortunata devozione per la divina misericordia. Anche nel caso di questo nuovo fenomeno, l’apparizione suggerisce personalmente i dettagli di un’immagine chiamata a renderla presente, rinnovando la logica di una manifestazione divina che legittima di sua iniziativa le forme della propria rappresentazione. Questa nuova icona del Gesù misericordioso, che per certi aspetti eredita e aggiorna la devozione e l’immaginario del Sacro Cuore, sul cui petto però non compare più la radiosa consistenza di un organo cardiaco, sembra anche per diffusione e consenso averlo ormai sostituito. Questo Gesù misericordioso, imperturbabile e androgino, è forse oggi, assieme a quella di Padre Pio, l’immagine devozionale più diffusa in assoluto.

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