Oratori solo per una “pastorale delle costine”? Bisognerebbe conoscerli meglio

Un gruppo di adolescenti e giovani dell’oratorio di Telgate

Nei giorni nei quali molti Oratori festeggiano San Giovanni Bosco, patrono di molte delle nostre strutture diocesane e certamente vicino a chi si prende cura dei nostri ragazzi, si riflette molto sugli Oratori, sulle proposte spirituali e formative, sull’adeguamento delle strutture alle necessità pastorali.

I detrattori degli oratori

Accanto a tanti spunti interessanti e a studi importanti, anche di recentissima pubblicazione, non mancano i detrattori. Ce ne sono per tutti i gusti, dai nostalgici del passato che non c’è più, ai risentiti che avrebbero voluto fare di testa loro e non hanno potuto per colpa del “curato cattivo”, a quelli che “ai nostri tempi sì che facevamo le cose bene, non come oggi che i preti non valgono nulla e i volontari sanno solo far costine”. Sono, queste, accuse di livello umano talmente basso che non meritano risposta. Basti a questi signori la saggezza di un noto proverbio bergamasco: “Chi gà mia antadur, i sa anta de per lur (traduco per chi non comprendesse il nostro dialetto: chi non ha chi lo vanta, si vanta da solo).

Le molte cose, belle, che si fanno negli oratori

Ora, io più vivo nei miei oratori, più ho solo da ringraziare, tutti, soprattutto nella preghiera per loro. C’è chi fa catechesi, chi si dedica allo spazio compiti, chi si occupa di carità, chi di giocare con i bambini, chi di pregare con loro, chi propone cammini di fede ad adolescenti e giovani, chi prepara il CRE e i campi invernali ed estivi, chi fa sport con loro, chi serve al bar, chi lavora in segreteria e altri ancora. Sono persone semplici; molti lavorano sodo e, nonostante questo, trovano tempo da donare agli altri, senza aspettarsi nulla in cambio e traendo gioia dal sorriso di chi incontrano; altri sono avanti negli anni, ma hanno il desiderio di stare con i giovani, restando così anch’essi giovani; alcune mamme sono casalinghe e preferiscono il servizio agli altri rispetto ad altre attività.

Il collante che unisce tutti

Poi, ci sono le persone dei lavori umili: chi pulisce gli ambienti, igienizza i bagni, sistema spogliatoi e campo, pulisce le aule, si dedica alla manutenzione, aiuta nelle feste a cucinare e lavare padelle, perché è quello che sa fare e che serve in quel momento, e dona il suo tempo con gioia. Valgono forse queste persone meno di altre? Certamente no, perché in Oratorio, da chi produce pensiero, a chi propone percorsi di fede, fino ai servizi più umili, la caratteristica comune è la fede. E di fede nei nostri Oratori ce n’è tanta! Ciascuno, poi, la trasmette come può, secondo le sue possibilità e capacità, vivendo innanzitutto uno stile che profuma di Vangelo, perché non bastano le parole per dire la fede. La stessa liturgia della Messa conclude con “Nel nome del Signore, andate in pace!”, ossia ricorda che la verità di quanto celebrato necessita di essere vissuto nella quotidianità dell’esistenza, pena un culto ricco di parole e gesti, ma vuoto di fede.

Sì, signori, in oratorio ogni tanto si fanno anche le costine, si mangia insieme: anche quello è un momento in cui, insieme, si vive la fede.