Il monastero e le svariate povertà della gente

Il monastero, ci dicono, è anche il punto di riferimento di dolori e povertà. In questo tempo di avvento ci sono stati dolori o povertà particolari con le quali avete dovuto fare i conti, tu o le tue consorelle? Marco

Caro Marco, mi pare che in questo tempo di avvento non ci siano richieste particolari, ma  si presentano a noi quelle che incontriamo nel tempo quotidiano.

Come dici bene, il monastero, tutti i monasteri, sono una riferimento significativo per l’ accoglienza di fratelli provati da ogni tipo di sofferenza o povertà. In essi affluiscono richieste di preghiera per ogni situazione di malattia fisica o psicologica, condizione di precarietà economica, disagi relazionali, lutti improvvisi…

Nell’era dei social cresce la solitudine

Nella nostra epoca il progresso e le scoperte scientifiche sorprendenti, come i social e le nuove tecnologie, hanno annullato ogni distanza. Eppure constatiamo che  è cresciuta un’incapacità di comunicazione e relazione che danno forma a solitudine e incomunicabilità.

L’umano soffrire giunge a noi con modalità differenti: incontri personali in parlatorio, richieste di preghiere via email, comunicazioni di parenti o amici che ci affidano le più svariate situazioni di preghiera.

Di fronte alla fragilità, all’impotenza e al limite che abitano la vita di tanti fratelli, la preghiera diviene il porto sicuro in cui approdare. Essa ci si presenta come la roccia che sostiene in maniera “misteriosa” l’impotenza, il dolore, la sospensione, la complessità delle situazioni nelle quali a volte ci si è trovati inaspettatamente.

Come vedi  sto semplicemente cercando di condividere le più diverse situazioni di sofferenza che “bussano” alla nostra porta  causate anche da  male personale e collettivo di cui non si è responsabili, o di cui si è artefici: questa  è fonte di un grande dolore che fatica a trovare pace.

Accogliere la sofferenza e imparare l’arte della compassione

Accogliere l’umana fragilità e portarla nella preghiera, comporta prima averla fatta dimorare nel nostro cuore. E’ il primo passo per imparare l’arte della compassione e della solidarietà, dello “stare in mezzo” tra Signore e questi nostri fratelli di cui  conosciamo i volti, i loro nomi, o  solo i loro drammi.

La preghiera diventa per tanti,  il luogo dell’apprendimento della speranza. Poiché se nessuno ascolta, Dio lo fa, lui può aiutare e lo si invoca personalmente o attraverso la nostra presenza. Se il soccorso non giunge da nessuno, il Signore può aiutare e, questa presenza “misteriosa”, ma così personalmente vicina, colma l’umana solitudine che avvolge il soffrire.

La preghiera tiene accesa la lampada della speranza anche se tutto sembra confermare l’ impossibilità di una soluzione duratura.  La speranza è la “piccola” sorella della fede! Infatti essa afferma che nonostante i fallimenti, le sconfitte, la vita è custodita dall’Amore indistruttibile di Dio che fa nascere coraggio e perseveranza nella prova. E’ lui che fa scaturire parole e gesti di consolazione e sostegno che alleviano e infondono pace.

La sofferenza può riportare alla fede

Ciò che sorprende è constatare che una sofferenza vissuta, può diventare anche occasione per un riavvicinamento alla fede, alla preghiera, alla partecipazione ai sacramenti. Certo, occorre fare il possibile per superare le sofferenze. Ma non possiamo illuderci di eliminarle totalmente, perché non possiamo scuoterci dalla nostra finitezza e nemmeno possiamo eliminare totalmente il male dal mondo.

Possiamo essere tutti più prossimi ai fratelli, aiutandoli ad accettare la tribolazione e in essa trovare senso se uniti a Cristo. Egli è il Dio che personalmente entra nella storia facendosi uomo e soffre per togliere il peccato del mondo. A Lui continuiamo ad affidare la sofferenza di tanti uomini e donne e chiediamogli la grazia di poter essere più vicini all’umano dolore,  più impegnati ad alleviarlo secondo le nostre possibilità.