Estate, tempo di pellegrinaggi. Questa settimana il nostro dossier si concentra sui cammini a piedi e in particolare su Santiago di Compostela, meta scelta ogni anno da quasi trecentomila persone. Apriamo con la testimonianza di Chiara Personeni, 26 anni, dell’oratorio di Almé. Ha una mobilità ridotta a causa di una disabilità fisica, ma è riuscita a realizzare il sogno di compiere il cammino grazie al sostegno e alla solidarietà di un gruppo di una quindicina di amici, volontari e accompagnatori. Un sogno realizzato e una grande emozione.
“Sto organizzando il cammino di Santiago. Ti va di fare la prima parte? Io non posso assentarmi dal lavoro per un mese.”
La proposta che l’amica Vanessa mi ha fatto un anno fa, mi ha sicuramente colta di sorpresa, ma ancora di più mi ha stupito la mia pronta risposta: “Ci sto.”
Così a fine maggio sono partita, con il gruppo del C.A.I. di Gavardo (BS) pronto a scarrozzarmi sulla joëlette (una carrozzina monoruota adatta anche ai sentieri più impervi, che permette a chi come me ha una disabilità motoria di conoscere luoghi altrimenti inaccessibili). Insieme a me, Roberta, che ha rinunciato alle classiche vacanze di relax al mare per essere al mio fianco e supportarmi nella gestione della routine quotidiana (e non solo…).
L’arrivo a Roncisvalle, meta della prima tappa del cammino, è stato il primo dei tanti momenti forti che ho vissuto.
Ci è stato chiesto di compilare un piccolo questionario dichiarando il motivo per il quale si era intrapreso il viaggio. Religioso. Spirituale. Sportivo. Altro.
Qual era il mio? Probabilmente la risposta più corretta sarebbe stata “altro” e nello spazio bianco a lato avrei dovuto specificare “realizzazione di un sogno, condiviso con Vanessa”.
La mia crocetta però è andata sulla prima opzione. Forse perché la mia prima idea del cammino era quella di un’esperienza di fede, vissuta da migliaia di pellegrini che ogni anno percorrono il sentiero sulle orme dell’apostolo Giacomo, per pregare al suo sepolcro.
Nel mio immaginario il cammino avrebbe dovuto offrire momenti di preghiera, di silenzio e di meditazione. Non è stato così. Le piccole chiese che con due ostelli, tre case e un cimitero componevano la stragrande maggioranza dei paesini di fine tappa, erano sistematicamente chiuse e i momenti di riflessione personale si trovavano in cammino, quando ancora assonnati al mattino presto, immersi nella natura, c’era ancora poca voglia di chiacchierare.
Ciò nonostante, è stata per me una grande esperienza di fede. Ogni giorno ho provato un profondo senso di Amore e di Libertà.
Amore che mi è stato donato da tutti coloro che hanno reso possibile l’avventura, in particolare da chi, per tanti giorni ha lasciato la sua casa, i suoi affetti, i suoi progetti ed ha deciso di mettersi in cammino con me e per me.
Amore che ho provato nel sentirmi desiderata. Il mio cammino sarebbe dovuto finire a Grañon, uno dei tanti paesini dalle chiese chiuse, ed invece, una settimana dopo il mio rientro a casa ho ricevuto un messaggio dal capogruppo: “Devi esserci a Santiago. Sarà una sorpresa per tutti.” Poche parole, una scelta “di pancia”: si riparte!
Ho vissuto ventiquattro ore su ventiquattro con persone conosciute in corso d’opera, che non hanno mai nutrito pregiudizi nei miei confronti, ma al contrario mi hanno permesso di esprimermi per come sono realmente, rispettando i miei limiti, mai considerati d’ostacolo al percorso. Il poco che avevo a disposizione l’ho potuto mettere in gioco liberamente. “Poco” che insieme al loro “tanto” ha significato tutto.