Un bilancio, a fine anno. Per non dimenticare di ringraziare

Foto: don Tonino Bello (1935-1993)

Il Eccoci, Signore, davanti a te.
Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.

Ma se ci sentiamo sfiniti,
non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto,
o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei.

È perché, purtroppo, molti passi,
li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue:
seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera,
e non le indicazioni della tua Parola;
confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre,
e non sui moduli semplici dell’abbandono fiducioso in te.

Forse mai, come in questo crepuscolo dell’anno,
sentiamo nostre le parole di Pietro:
“Abbiamo faticato tutta la notte,
e non abbiamo preso nulla”.

Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente.
Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto,
ci aiuti a capire che senza di te,
non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.

Così don Tonino Bello, nella sua splendida Lettera di fine anno.  Che ben si presta per avviare, come si è soliti fare in questi giorni, occasioni di bilanci e di verifiche. Perché la vita non ci scivoli addosso troppo in fretta. E, insieme, custodire atteggiamenti di ringraziamento e di lode. Eppure, in molti, anche tra credenti, si insinua la domanda: di che cosa, di chi, possiamo essere davvero felici? Chi possiamo sempre cantare, celebrare, ringraziare?

Possiamo essere felici

La nostra fede dice che di Gesù Signore possiamo essere felici: del suo modo di essere uomo che ha introdotto nella nostra storia, dei testimoni che ha suscitato e ce ne hanno recato notizia, del volto di Dio che ha rivelato, dello Spirito che ci ha donato, del mondo che così ci è dischiuso.

La lode dunque ha la sua radice nello stupore, nella meraviglia che Dio sia così, che abbia voluto fare spazio a noi, che voglia ancora e per sempre essere il Dio con noi. Suppone una disponibilità a riconoscerlo nelle sue opere, nelle azioni che gli sono proprie e nelle quali si esprime. Per chi è credente il bene che ci è dato, quasi sempre senza merito o capacità,  ha in Lui la sua fonte. La lode è il luogo per eccellenza nel quale Dio è riconosciuto come Dio e ciascuno di noi si situa secondo verità davanti a Dio.

Il rischio della routine

Fare della gioia motivo di lode e godere nel lodare è certamente un atteggiamento coerente con la vita nella fede, ma non è automatico. La lode è modalità fondamentale (non unica, anche il lamento e la supplica, l’ascolto e la meditazione lo sono allo stesso titolo di fede) del cammino di estroversione che la fede sollecita, presuppone e costruisce.

Al rischio che tutto venga assorbito nella “normalità” della routine, del dovuto o dell’ovvio, siamo tutti esposti. Che un sorriso cada nel vuoto, che un testimone risulti un poco folle, o comunque solitario, che Gesù sia lontano, che Dio sia senza parola o nascosto sotto parole stravolte, è tentazione che ci riguarda tutti. La gioia che diviene lode è scintilla dello spirito che ci consente di vedere oltre il velo delle apparenze. Certo, tutto questo è un dono. Però possiamo e dobbiamo cercare di essere donne e uomini che sanno rendere attenti, che custodiscono i presentimenti, che resistono a ogni pretesa di livellamento, come se tutto fosse inespressivo, senza parola.

Su questo Abraham Joshua Heschel, il grande rabbino e filosofo polacco poi naturalizzato statunitense, ha detto parole che meritano di essere ancora meditate:

La capacità di essere uomini svanisce facilmente nel corso di un processo in cui tutto diventa estremamente ovvio. La banalità e la futilità, questi sottoprodotti della reiterazione, continuano a soffocare e a corrodere il senso dell’essere significativo. Sommerso nella quotidianità, l’uomo comincia a trattare tutte le ore allo stesso modo. I giorni sono monotoni […], tutti gli istanti sono nati morti, tutte le ore sembrano vecchie. Non esiste meraviglia né lode. Quello che resta è la disillusione, la disintegrazione dell’essere umano […]. Celebrare significa contemplare la singolarità del momento e accrescere la singolarità dell’io. Le parole bibliche sulla genesi del cielo e della terra non sono parole d’informazione ma di apprezzamento. La storia della creazione non è una descrizione di come il mondo è sorto, ma un canto sulla gloria del mondo che è sorto. «E Dio vide che esso era buono» (Gen 1,25). Questa è la sfida: riconciliare la visione di Dio con la nostra esperienza  […]. Il segreto del vivere spirituale è nella facoltà di lodare. La lode è il racconto dell’amore e precede la fede: prima cantiamo, poi crediamo. Il problema di fondo non è la fede ma la sensibilità e la lode, l’essere pronti per la fede.”

La forza della lode

La lode dunque fa umani, ci umanizza nelle nostre “pratiche” quotidiane ispirandoci in esse misura e orientamento: ciò di cui si contenti è anche ciò per cui si è disposti ad impegnarsi e per riconoscenza. La lode dei cristiani dice che di Dio abbiamo sempre motivo di essere contenti, in cammino verso un mondo che gli corrisponda. Non si tratta di diventare una Chiesa di “spensierati”, che non vive le angustie del mondo (cfr. l’incipit della Gaudium et Spes), ma di saper leggere nei tempi i segni del regno che viene. Nonostante tutto. Come la giovane Etty, che rinchiusa nel campo di Westerbork in attesa di essere trasferita ad Auschwitz, riusciva a scrivere: ““Volevo solo dire questo: la miseria che c’è qui è veramente terribile – eppure, la sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare – e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo”.

La gioia che dovrebbe  esprimersi nella lode dei cristiani sta al riparo sia dalla esaltazione emotiva che evade dalla storia, sia dalla depressione fatalistica. Essa riconosce anche nel “prezzo” che può essere chiesto, la forza e il pregio dell’amore che viene da Dio. Questo amore salva la nostra vita; la nostra libertà non smette di darne testimonianza nei segni dell’agape, nei suoi esiti felici come nel suo rimanere paziente e nel suo affidarsi come appello ultimo a Dio.
Come dice un Midrash:

Nei giorni che verranno, tutti i sacrifici cesseranno, ma il sacrifico della lode (tôdah) non cesserà nell’eternità; tutti i cantici cesseranno, ma i cantici della lode (tôdah) non cesseranno nell’eternità”.