Ratzinger, Papa Francesco e le differenze che vengono da lontano. Il caso Gänswein

Foto: Joseph Ratzinger e mons Georg Gänswein

La vicenda di mons. Gänswein, finora al servizio di papa Francesco e dell’ex-papa Benedetto XVI, dimissionato o, per curialmente dire, “redistribuito” su altre funzioni, ha scatenato molte reazioni. La più tranchant è certamente quella del sito latino-americano “Religion digital”, che certifica: “Francisco fulmina a Gänswein”. Assegnato a nuove funzioni o incenerito dal fulmine, si capirà presto.

Una “differenza” che viene da lontano. Il papato Wojtyla

E’ evidente, in ogni caso, che si tratta del punto di condensazione di uno scontro, che viene da lontano e che ha incominciato a emergere all’inizio del nuovo secolo e al tramonto del lungo pontificato di Giovanni Paolo II.

Per interpretarlo, serve una laica premessa. Benché la Chiesa si attribuisca una fondazione divina e una durata fino alla fine della storia umana, essa cammina sulle gambe malferme degli uomini e porta i segni delle loro passioni e dei loro conflitti. I quali esistono fin dall’inizio della sua storia, a partire dalla Chiesa primitiva di Gerusalemme, nella quale avvenne lo scontro memorabile e pregno di conseguenze storiche tra Pietro e Paolo. Il papato di Giovanni Paolo II si deve considerare come l’ultimo papato che ha tentato di globalizzare il modello di Cristianesimo europeo, nella sua particolare versione nazional-polacca. Il papa ha compiuto ben centoquattro viaggi apostolici e più di centocinquanta visite pastorali in tutto il mondo, ma il suo universalismo è consistito nel tentare di esportare quel modello nel mondo intero. In che cosa consisteva? Nella teoria e nella pratica ecclesiologica, perseguiva un forte centralismo, nel quale quello storico della Curia romana era coperto e convergente con il centralismo carismatico del personaggio Wojtyla. Sui temi della contraccezione, del divorzio, del celibato dei preti ribadiva la severa dottrina tradizionale della Chiesa. I divorziati e le coppie non sposate non potevano accedere ai sacramenti e alla vita comunitaria dei credenti. Sul piano ideologico-politico, delineava una terza via tra il comunismo – che personalmente papa Wojtyla ha contribuito a demolire – e il capitalismo, soprattutto per i suoi effetti consumistici e per i presupposti individualistico-liberali. Proponeva una terza via, non senza assonanze di linguaggio con quella delle sinistre europee. Il Card. Joseph Ratzinger interpretò questa linea con rigore dal 1981 al 2005. Purtroppo, Giovanni Paolo II sarà costretto a constatare tristemente, sul finire dei suoi anni, che tale modello di cattolicesimo cominciava ad essere rifiutato anche nella sua cattolicissima Polonia. Nel Conclave che seguì alla sua morte, le alternative era già ben delineate.

Il dopo Wojtyla. Le due “linee” e l’elezione di Ratzinger

Da una parte il card. Martini, che prima del Conclave aveva sostenuto la necessità di un nuovo Concilio ecumenico, per preparare la Chiesa al millennio della globalizzazione, e che aveva perciò aveva fatto il nome del card. Bergoglio. Dall’altra parte stava un gruppo composito di conclavisti. Alcuni sostenevano il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, teologicamente ferrato, legato agli ambienti della rivista Communio, fondata, tra gli altri, da Joseph Ratzinger, Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac, Walter Kasper e altri, già teologi di punta del Concilio Vaticano II, ma sempre più preoccupati delle sue interpretazioni più radicali. Di queste ultime invece era alfiere la Rivista Concilium, fondata da teologi quali Yves Congar, Hans Küng, Johann Baptist Metz, Karl Rahner, Edward Schillebeeckx.

Scola prometteva di fatto la continuazione della linea-Wojtyla. Altri, soprattutto i cardinali italiani, rifiutavano la candidatura di Scola, legato a CL e perciò ritenuta divisiva della Chiesa italiana. I cardinali di Curia, il cui punto di riferimento era il Card. Angelo Sodano, che avevano governato la Chiesa, all’ombra di Papa Giovanni Paolo II, puntavano su un candidato che continuasse a “lasciarli lavorare”. Stava scoppiando in quel periodo la questione pedofilia, che la Curia romana intendeva continuare a coprire. Il Conclave trovò un compromesso: il 19 aprile 2005 fu eletto Joseph Ratzinger, teologo coltissimo, molto anziano, e perciò naturalmente “di transizione”, deciso per parte sua a moralizzare la Chiesa, come aveva auspicato, denunciando con parole forti la “sporcizia dentro la Chiesa” nel corso della Via Crucis attorno al Colosseo il  25 marzo del 2005.

Papa Benedetto XVI, per un verso, approfondì il discorso sui fondamenti ebraici e greco-classici dell’identità del Cristianesimo universale; per l’altro, andò allo scontro con la Curia, non solo sulla riforma del governo curiale della Chiesa, ma anche sulla necessaria denuncia degli ecclesiastici pedofili alle autorità civili. L’11 febbraio 2013 Benedetto XVI si dimise. Era l’ammissione dell’impotenza e della sconfitta.

Papa Bergoglio. Le differenze da Papa Ratzinger

Il 13 marzo 2013 il Card. Bergoglio fu eletto papa. Nel nome Francesco c’era già un programma. San Francesco non era un teologo, era un missionario in Europa e nel mondo intero. Il Papa che dichiarò di venire “dalla fine del mondo” ha preso molto sul serio questa prima battuta di autopresentazione davanti ai fedeli di Piazza San Pietro. La Chiesa cattolica è universale non solo nelle intenzioni, ma nei fatti. Ha preso atto del carattere globale della presenza dei cattolici nel mondo, tentando di trasformare, più che la teologia dogmatica, la teologia pastorale della Chiesa per adeguarla a quella presenza. Ha ripreso i temi della Lumen Gentium lasciati in ombra dopo il Concilio Vaticano II. Ma, soprattutto, se Ratzinger mostra di ritenere che le categorie ebraiche e greco-classiche siano consustanziali alla proclamazione del kerygma – questo è il senso del discorso di Regensburg del 12 settembre 2006 -, papa Francesco, più pastore che teologo dogmatico, tende a staccare il kerigma da quelle categorie.

E’ probabile che quelle della cosiddetta “teologia del popolo”, elaborata appunto in Argentina dal suo Maestro padre Juan Carlos Scannone, resti per ora un debole tentativo teorico in quella direzione, ma, in ogni caso, quella è la strada che Bergoglio, più pastore che teologo, sta intraprendendo. Su questa strada Ratzinger non può andare. La sua storia intellettuale di teologo europeo non glielo permette. E con lui non è in grado di farlo molta intellettualità teologica europea. I tentativi europei di Ivan Illich, di Hans Küng, di Raimon Panikkar e di altri al momento non hanno ancora “fatto scuola”. Sono in corso elaborazioni di teologi cattolici, che si confrontano con le grandi religioni o culture quali l’induismo, il buddismo, il confucianesimo. E’ una strada audace, quella intrapresa da Francesco, primo papa della globalizzazione. Non è detto che porti da qualche parte. Un pensatore come San Tommaso riuscì a incorporare il pensiero aristotelico e fargli annunciare il messaggio del Vangelo. Nell’attesa di una nuova sintesi post-tomista, insorgono le tensioni, le resistenze, i piccoli sciami sismici che percorrono la Chiesa. Dell’episodio del libro del Card. Sarah abbiamo già scritto su queste pagine. Quello di Mons. Mons. Gänswein è solo l’ultimo anello della catena.

Papa Ratzinger e le agguerrite minoranze cattoliche. Il ruolo di Gänswein

Ciò che ha complicato enormemente le cose è che Papa Benedetto XVI non ha in realtà mai smesso di fare il Papa. O, per essere più precisi, le sue dimissioni non sono mai state accettate da agguerrite minoranze cattoliche, preoccupate della perdita di identità del cattolicesimo europeo. Esse hanno finito per “usare” Ratzinger e imprigionarlo in un ruolo cui lui ha rinunciato, forse anche per poter dire liberamente e in coscienza ciò che pensa, benché non più ex-cathedra. A ciò ha contribuito il suo segretario Mons. Gänswein, quando ha teorizzato pubblicamente che Ratzinger dovesse continuare a vestirsi da papa, perché nella Chiesa si davano due ministeri papali: il “ministero papale attivo” di Francesco e il “ministero papale contemplativo” di Ratzinger. Si tratta di un’interpretazione molto creativa del racconto evangelico di Luca su Gesù che a Betania incontra Marta e Maria.

Teorie a parte, la gestione della firma di Ratzinger sul libro del Card. Sarah sul celibato dei preti ha contribuito a trasformare la figura del Papa emerito in un “papa contro-papa” e quella di Francesco in un “papa-antipapa”, che occuperebbe abusivamente la cattedra di Pietro, di fatto  vacante.