In questi giorni molti, a cominciare dal Papa, mettono in rapporto la grave crisi del coronavirus con momenti del vangelo e soprattutto della Passione. Anche tu hai qualche idea riguardo? Giulia
Cara Giulia, in questo tempo di sofferenza per l’epidemia di coronavirus, la parola del Vangelo è una tenue fiammella per i nostri occhi, luce ai nostri passi. Tu accenni alle belle riflessione di papa Francesco, forse anche a quelle del nostro vescovo, che ci stanno aiutando a vivere con fede questo venerdì santo della storia.
Maria, la madre, ai piedi della croce
Dentro questa passione che si sta perpetuando, mi appare significativa, tra tante altre, la figura di Maria ai piedi della croce. La stiamo pregando coralmente attraverso la recita del rosario perché crediamo che lei, la madre, possa comprendere il nostro dolore e possa intercedere per noi presso il Figlio.
Crediamo che ci possa sostenere nel cammino della fede perché non vacilliamo, ma rimaniamo ritti di fronte ai corpi crocifissi dei nostri cari, attraversando con lei questo sabato santo. Ella sta in piedi, ritta, dignitosa nel suo grande dolore per la morte del Figlio, nel silenzio dell’attesa, senza perdere la fede nel Dio della vita, colui che è fedele a ciò che le ha promesso nell’annunciazione. Ci insegna l’arte difficile del “rimanere” nel dolore da credenti, accogliendo la spada che “trafigge anche le nostre anime”, accettando il silenzio di Dio non come lontananza o assenza, ma come un linguaggio nuovo da comprendere, la forma della sua vicinanza: egli porta su di sé il nostro smarrimento e il nostro dolore.
Dio soffre con noi. Il silenzio di Maria
Da quel venerdì santo, giorno in cui Dio, in Gesù, è morto sulla croce, nessuna sofferenza gli è estranea, ma tutto in lui è assunto e trasfigurato, tutto è condiviso e redento perché Dio soffre con noi e per noi. Egli è il Dio con noi! Dio non ci dà le sofferenze, non ci salva attraverso di esse, ma vivendole con noi.
Questo sconvolge le nostre attese che vorrebbero un Dio che interviene e risolve ogni problema e ci chiede di convertirci all’immagine del Dio di Gesù. Maria sotto la croce non proferisce parole perché il silenzio è l’unico linguaggio di fronte alla sofferenza, è la forma della vicinanza, della prossimità e della condivisione. Ella è discepola del Figlio, colei che ci esorta alla fede umile, piccola, come un chicco di grano, nutrita di ascolto e di fiducia nella certezza che la morte non può avere l’ultima parola sulla vita, perché l’amore è più forte della morte! Ci indica il Figlio crocifisso “per contemplare l’ineffabile carità per la quale volle patire sull’albero della croce e su di esso morire della morte più infamante”. Maria sta davanti al male con la speranza che l’amore vincerà. Lei non va avanti e indietro dal sepolcro vuoto, ma rimane a credere e a sperare fino al manifestarsi del trionfo del Figlio sulla morte. Tiene viva la fede non facendo niente.
Il suo silenzio dice l’attesa dell’azione di Dio nella storia, il ‘senso’ dell’azione di Dio: è Lui che opera, come e dove vuole. Il dolore del Figlio è anche il suo, un dolore intriso di puro amore, come quello di ogni madre, sorella o sposa. Il suo rimanere lì, in piedi, è un invito pressante a fermarci: fermatevi e sappiate che lì c’è Dio crocifisso come tanti dei nostri cari in questo tempo. Il virus ci ha imposto un arresto forzato dalle nostre corse affannate. Fermarsi per ritrovare l’istante e vivere l’ora, il tempo, la vera realtà, i nostri affetti, le relazioni, con cura, consapevolezza e amore che si dona. Fermarsi per riconoscere la sua presenza che vuole riempire il cuore e consolarlo con un amore eterno che va oltre ogni morte, nel quale ritrovare i nostri cari defunti.
Le sue e le nostre domande
Quante domande avranno abitato il suo cuore di madre di fronte alla sofferenza del Figlio innocente, abbandonato da tutti, le stesse domande che anche noi ci poniamo di fronte alle morti così strazianti e in solitudine dei nostri cari! Domande che non hanno una risposta e che assumono il tono del lamento, della rabbia, della paura della morte, della provocazione verso Dio, e che Lui ascolta e restituisce in consolante speranza. Maria è la madre del dolore, colei che non cessa di amare Dio nonostante la sua apparente assenza e in Lui non si stanca di amare i suoi figli, custodendoli nel silenzio dell’attesa.
Nel suo sabato santo è l’icona della Chiesa, dell’amore, sostenuta dalla fede più forte della morte e viva nella carità che supera ogni abbandono. Ella è la Chiesa ai piedi della croce che ha ricevuto dal Figlio, Giovanni, e in lui tutti i fratelli, l’umanità: “Donna, ecco tuo figlio”. Li custodisce con amore materno nutrendoli con i doni che essa ha ricevuto: il suo Spirito, la sua parola, il suo corpo donato per amore. Indica in lui l’unica certezza in cui porre l’esistenza, l’unica speranza a cui affidarsi perché tutto passa e solo Dio resta.
Il dolore del mondo. E l’amore che redime
Porta sulle sue braccia il dolore del mondo e con l’umanità attraversa il Triduo pasquale attendendo l’alba del giorno che non ha più fine. A lei è stata affidata la Chiesa, quel legame di fraternità e comunione che toglie il laccio dell’isolamento in cui il dolore fa cadere. Il dono di costruire relazioni buone che attenuino la sofferenza della perdita e diano continuità al fluire della vita quotidiana. Ai piedi della croce impariamo l’arte dell’accoglienza dell’uomo in quella creatività che solo l’amore può far sorgere. Pensiamo a quanta solidarietà e risorse sono state attivate in questo tempo di dolore: generosità eroica di infermieri e medici, volontari che si spendono in attenzione e solidarietà, in aiuti internazionali, ecc. Siamo consapevoli che non possiamo andare avanti ciascuno per conto proprio, ma solo insieme, legati da vincoli di fratellanza. Il dolore avvicina, unisce, fa uscire dall’individualismo e dalla sfiducia.
Sotto la croce Maria unisce al Figlio credenti e atei, lontani e vicini, giovani e adulti, in piedi a guardare il corpo di Cristo che continua a soffrire.
Quando il coronavirus sarà passato, ci troveremo diversi, speriamo più umani e solidali. Ricordiamoci di quella “donna” ai piedi della croce, davanti al Figlio, per non cadere nella dimenticanza, per continuare insieme a curare i corpi crocifissi dei fratelli, dei popoli dimenticati, e costruire relazioni di fraternità e comunione. Uniti da vincoli di fratellanza testimonieremo la vita nuova scaturita dalla Pasqua nella quale il cielo e la terra saranno uniti nell’amore che non ha fine.