Covid-19, teenager nella comunità Piccola stella di Aeper: “La pandemia ci ha tolto le certezze, ci ha insegnato ad apprezzare l’essenziale”

Piccola stella è una comunità terapeutica per adolescenti di Bergamo gestita da Aeper, nata 15 anni fa. Ospita dieci ragazzi e ragazze fra i 12 e i 16 anni provenienti dalla Bergamasca e da tutta la Lombardia con disturbi della personalità e della condotta.

Opera in collaborazione con il Servizio di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Azienda Ospedaliera di competenza territoriale e il servizio socio-assitenziale di competenza.

I ragazzi restano nella comunità per un periodo limitato possibile per continuare poi le terapie a domicilio o in altri servizi. L’intento è di attuare interventi precoci che possono contenere e ridurre l’ evoluzione della patologia psichiatrica, offrendo ai ragazzi un luogo dove vivere insieme e svolgere attività quotidiane (dalla musica all’arte-terapia) permette di integrare interventi terapeutici, educativi e riabilitativi.

Queste caratteristiche hanno reso la comunità particolarmente sensibile ai rischi di diffusione di malattie infettive sia in tempi ordinari che nell’ attuale tempo straordinario della diffusione della pandemia SARS-COV-2 che ha colpito il nostro paese – e particolarmente la regione Lombardia – a partire dalla fine del mese di febbraio del 2020. “Ci siamo, sin da subito, orientati ad utilizzare misure di protezione degli ospiti della comunità e degli operatori – spiegano i responsabili della struttura – per prevenire e limitare la diffusione del contagio da Covid-19 all’interno della struttura residenziale; definire un protocollo di gestione, con la massima sicurezza ed efficacia la comparsa di eventuali casi di Covid-19 tra pazienti ed operatori; promuovere ed assicurare il mantenimento del benessere e compenso psicopatologico dei pazienti tramite azioni mirate e pensate ad hoc nel rispetto dell’ emergenza sanitaria in atto, promuovere ed assicurare il mantenimento delle funzioni terapeutico-riabilitative della comunità; promuovere ed assicurare il mantenimento del benessere psicologico degli operatori, nonché la loro maggiore sicurezza possibile nel luogo di lavoro. Riportiamo di seguito il racconto di Angelo, infermiere e coordinatore staff della Comunità terapeutica per adolescenti Piccola Stella: un quadro coinvolgente e molto significativo di quanto sta accadendo in questo periodo da un punto di vista diverso.

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In questo periodo di limitazioni, di distacco, ricominciamo (o forse iniziamo) ad apprezzare il vero valore delle piccole cose, dei piccoli gesti, dell’essenziale. La pandemia ha tolto certezze, ci ha spogliati, ci ha reso più veri. Porto sempre con me una frase di una ragazza, non più in Piccola Stella, che a fine progetto, nel tradizionale discorso, di saluto dice: “La Piccola Stella mi ha insegnato ad apprezzare le piccole cose, per essere felici basta poco…”

Il coronavirus e l’isolamento che ne è conseguito hanno posto tutti di fronte ad una grande sfida: reinventarsi. Reinventarsi nel lavoro da casa, reinventarsi nel rapporto con gli altri, reinventarsi anche nel modo in cui vivere la relazione con sé stessi. Ciò è particolarmente vero per una comunità terapeutica per adolescenti.

Qui la quotidianità è stata riorganizzata. Le mani di qualche ragazzo appaiono secche e screpolate per i lavaggi frequenti. Il saluto con i gomiti, a debita distanza, sostituisce gli abbracci, ai quali i ragazzi danno grande importanza: è sentire che l’altro c’è. Anche la rilevazione della temperatura corporea è cambiata, è diventata una “coccola”, un atto di cura e di protezione, una modalità per ritagliarsi uno spazio esclusivo.

I tempi morti, aumentati in maniera esponenziale per la sospensione dei vari laboratori, sono stati riempiti con un uso potenziato, ma sempre protetto, dei videogiochi (meravigliosi i passi e le voci dei ragazzi con la wii), della tv e dello smartphone, che ha permesso loro di prendere consapevolezza sul tema che ci accompagna ormai da 2 mesi.

Ma l’atteggiamento dei nostri ragazzi è diverso da quello dei loro coetanei: non hanno paura del COVID allo stesso modo in cui lo temono gli altri, anche i più grandi. E non perché non siano a conoscenza dei rischi, dei numeri, ma perché il virus, a confronto di quello che portano dentro, sembra il più debole dei nemici. Ai loro occhi il virus è la causa dell’interruzione di un percorso terapeutico. È un mostro invisibile che ha rallentato la corsa ad ostacoli al loro reinserimento nel contesto familiare e sociale.

A loro la quarantena non fa così tanta paura. Hanno imparato a convivere con la mancanza di qualcuno o qualcosa molto prima che un microbo ci imponesse il distanziamento sociale. Loro sanno bene cosa significhi stare lontano dalle persone a cui tengono. Sanno che la famiglia è un buon contenitore quando i legami sono funzionanti e le basi solide, ma sono consapevoli che, se fondata su fragilità, può portare a rapporti distruttivi e conseguenze gravi almeno quanto quelle causate dal COVID.

La residenzialità ti porta inevitabilmente a vivere in un altro mondo. Oggi, forse per la prima volta, i nostri guerrieri sono i più “fortunati” tra gli sfortunati. Vivono a contatto con la natura, hanno la possibilità di stare in gruppo, di fare gruppo, di sostenersi a vicenda, di giocare insieme e condividere tutti i sentimenti che la quarantena possa comportare.  Si sono goduti all’aperto una delle Pasquette più soleggiate degli ultimi anni, con tanto di grigliata. Per non parlare della caccia al tesoro Pasquale, organizzata con cura dalle nostre educatrici, con maxi-uovo finale donato da un gruppo di tifosi dell’Atalanta. Infine, ma non meno importante, hanno al loro servizio quotidianamente il sostegno psicologico e relazionale dei “nostri eroi in prima linea”.

Ma, purtroppo, alla domanda “come procede la quarantena in comunità?” non è così facile rispondere.

Dopo una prima fase di sensibilizzazione, creatività e sport, stiamo vivendo una “fase 2” nella quale la stasi progettuale ha generato stanchezza e un clima pesante come un macigno. I dubbi del presente, che si sommano alle incertezze del futuro, danno la percezione di vivere in un mondo instabile, insicuro e le giornate si allungano tanto da sembrare una vita.

In questo momento storico è importante far sentire a casa i nostri ragazzi, senza sottrarci a tutte le misure a cui è chiamata una struttura sanitaria. I nostri operatori stanno dando grande prova di professionalità e senso di appartenenza. Sono orgoglioso di ognuno di loro, così come sono orgoglioso dei ragazzi, che ce la stanno mettendo tutta. Si sono dimostrati comprensivi rispetto ad una situazione che, inevitabilmente, ha influenzato le nostre vite, ma che siamo sicuri, ci rafforzerà, anche come comunità.

Torneremo ad abbracciarci, più forte di prima.

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