“Ho compiuto 40 anni di fraternità il 14 dicembre scorso: si potrebbe dire un ciclo intero di vita, o più biblicamente, una traversata del deserto che credo non esiterei a rifare se dovessi scegliere ora…”
A parlare così è Maria Chiara Ferrari, Piccola Sorella di Gesù. Un’amica carissima, alla quale devo molto, che vive ora a Gerusalemme, una città e una terra che ben conosce, avendo trascorso trent’anni della sua vita in Medioriente, in Palestina e Israele ma viaggiando per la Siria e la Giordania, l’Iraq e il Libano, l’Algeria e l’Egitto. Maria Chiara è stata anche Responsabile Internazionale delle Piccole Sorelle di Gesù, un’avventura spirituale nata alla fine degli anni Trenta del secolo scorso dalla vicenda di Charles de Foucauld riletta da quella donna straordinaria che è stata Magdeleine Hutin.
Piccole comunità che vivono, in una sessantina di Paesi, una vita contemplativa nel cuore del mondo, non separata dalle grate dei monasteri, ma pienamente condivisa con gli uomini e le donne del nostro tempo, a partire dai luoghi di sofferenza e di marginalità. Donne che vivono il più semplicemente possibile, con un lavoro manuale che può cambiare secondo tempi e culture in quartieri poveri o popolari. Il cuore della relazione con Gesù, che diventa il cuore della relazione con gli altri, è l’amicizia, offerta ericevuta. Lo chiedeva loro la piccola sorella Magdeleine:
«Prima di essere religiosa sii umana e cristiana in tutta la forza e la bellezza di questa parola».
Maria Chiara mi è sembrata da subito la persona più adatta per ragionare insieme sulla notizia, diffusa poco tempo fa, della prossima canonizzazione di frere Charles de Foucauld.
Come hai vissuto l’annuncio della canonizzazione di Charles de Foucauld?
Con sorpresa, ma devo dire anche con gioia e gratitudine per questo segno di incoraggiamento da parte della Chiesa per il nostro cammino oggi.
Non credi che la canonizzazione porti il rischio di ridurre l’impatto della scelta radicale di frere Charles?
Un amico mi ha detto ironicamente: così adesso siete come gli altri, come tutti (nel senso: non vi distinguete più per la vita nascosta…). Ciò che mi ricorda anche una parola del card. Martini molti anni fa: “Non credo che fr. Carlo abbia bisogno di questi riconoscimenti, (beatificazioni, canonizzazioni…) e nemmeno la fraternità. Vi basti vivere la vita di Nazareth…”. E’ da riflettere, e forse da tenere presente anche e soprattutto quando una certa “visibilità” ci può tentare. Nello stesso tempo possiamo notare che questo riconoscimento da parte della Chiesa avviene mentre la nostra fraternità, e direi l’insieme delle famiglie spirituali che si ispirano a fr. Carlo attraversano una crisi, conoscono l’invecchiamento, le chiusure. Non è avvenuto mentre eravamo in piena crescita e dilatazione del carisma e della presenza nel mondo. Che cosa dice dunque questo a noi, in questo momento di fragilità? Inoltre il messaggio di fraternità di fr.Carlo ha superato già da tempo i limiti delle nostre comunità ed è diventato più ampiamente parte e ricchezza della Chiesa intera.
Non è un tesoro che ci appartiene.
Per tutto questo la decisione di Papa Francesco è una consolazione e un incoraggiamento oggi per noi.
Dal deserto alla città: dove sta l’attualità di de Foucauld?
Una cosa che spesso si dimentica è che fr. Carlo è andato nel deserto con lo scopo di raggiungere i più lontani, per incontrare le persone che vi vivevano, e vi ha effettivamente vissuto una densità eccezionale di relazioni. Paradossalmente, ha vissuto una vita molto più solitaria nella città di Nazaret, nel giardino delle Clarisse. Una seconda cosa è che una sua originalità sta nel non aver voluto scegliere tra vita contemplativa e vita attiva, (secondo l’espressione e la forma tradizionale), situandosi e assumendo cosi simbolicamente una “tensione costante”, tra deserto e città, vita con Dio e vita con gli uomini, cercando gli altri nell’Altro, e l’Altro negli altri. Direi che l’attualità più continuativa del messaggio di fr. Carlo non è in un luogo preciso,
ma sta in ogni luogo dove riconosciamo l’altro come un fratello, meglio se nel luogo più impensato…
Oggi le grandi città sono spesso deserti relazionali, ma anche le grandi prove, come quella della pandemia, che stiamo attraversando un po’ ovunque nel mondo, rischiano di creare deserti ulteriori di solitudine o di egoismi. Oppure il fenomeno già tanto mediatizzato in tutti i sensi della migrazione. Il messaggio semplice ed evangelico, ma potentemente inquietante, del “riconoscere” nell’altro un fratello risuona di nuovo come una sfida…
Cosa “dice” alla Chiesa di oggi l’avventura spirituale di frere Charles?
Forse, due umili inviti, il primo a coltivare la passione per la persona di Gesù. Il secondo, la passione per l’incontro con l’altro. Direi che queste due realtà fondamentali si ritrovano profondamente nella persona e nel magistero di Papa Francesco. Per cui abbiamo un testimone ancora più attuale di fr. Carlo a cui ispirarci. In fr.Carlo colpisce molto che, da uomo di scienza qual era,
la parte affettiva del rapporto con Gesù abbia preso un tale spazio e ampiezza.
Eppure non possiamo comprenderlo senza questo. In un linguaggio che a volte può apparire ostico o lontano, ma che è anche semplice e ripetitivo come quello degli innamorati, i suoi scritti testimoniano di un orientamento affettivo radicale, che non si è lasciato più distrarre da altro e che non lo lascerà più, fino alla morte. “L’Amato, il Bene-Amato Fratello e Signore Gesù” sta al centro, e al di sopra, al di sotto, al di là e al di qua di tutto il suo sentire, il suo pensare e il suo fare e tutto ritorna a Lui, continuamente. Effettivamente come nella condizione degli innamorati. Non significa un amore senza prove, o senza aridità e deserti, ma un amore fedele, costante, e poco a poco trasformante e trasfigurante. Si può quasi notare nelle ultime foto della vita di fr. Carlo, quanto i segni della vita vissuta con il Signore e con i poveri l’avessero cambiato… Su questa base si deve comprendere la sua sete dell’incontro con l’altro, al quale vuole comunicare Gesù e nel quale vuole ritrovare Gesù.
La ricerca dell’altro, il diverso da sé, è una costante della sua vita,
alimentata dalla ricerca dell’Altro. Una sua frase celebre, che cito a memoria “Non si fa del bene nella misura di ciò che si dice e si fa, ma nella misura di ciò che si è, nella misura in cui Gesù vive in noi…” dice bene come intendeva tutta l’opera di evangelizzazione… Forse questo può interrogare la tentazione di attivismo ecclesiale a volte e ricordarci l’essenziale del messaggio cristiano…
La sua vicenda biografica, mette in discussione l’idea che normalmente come cristiani abbiamo di “missione”…
Effettivamente, ha messo in discussione l’idea che abbiamo sempre e solamente qualcosa da dare, da dire, da portare all’altro… beni, cultura ecc. e poco o niente da imparare e da ricevere. Fr.Carlo ha consacrato molto tempo della sua vita per imparare la lingua dei Tuareg, ma non solo, per impararne le abitudini, la mentalità, le tradizioni… Questo gli ha permesso di mettersi alla loro scuola, di costruire cosi una relazione d’amicizia basata sul dare e ricevere reciproco, sull’avere bisogno gli uni degli altri, che è la forma tipica e più sana dei nostri rapporti. Ricordiamo che chiedeva ai suoi amici in Francia di inviargli medicine e altre cose per la gente, e che alla fine è stato curato e salvato da questa stessa gente, che gli ha offerto latte e datteri quando era malato di stenti e in fin di vita…. L’Evangelii Gaudium di Papa Francesco conferma ampiamente questa intuizione, quando parla in diversi punti di relazione con l’altro, di vicinanza, come forme di evangelizzazione… Fr. Carlo parla di “Un apostolato della bontà e dell’amicizia”, che non si fonda sulle parole, ma sulla vita condivisa.
La bontà di Dio si trasmette con i gesti.
E a volte questo potrà suscitare una domanda, un perchè… “Perché tu sei buono?” gli chiede qualcuno… ed è l’occasione per parlare di Colui che solo è buono… Ci ricorda Francesco d’Assisi quando indicò ai suoi frati come andare tra i Saraceni: predicando il vangelo con la vita e poi, se possibile, anche con le parole… Si dice che fr.Carlo è stato “obbligato” ad agire così, essendo proibito in terra islamica ogni forma d’annuncio esplicito. Senz’altro le circostanze determinano in certi casi la nostra ricerca di mezzi per l’evangelizzazione. Ma la necessità di essenzialità e coerenza rimane comunque e dovunque alla base di ogni annuncio evangelico. Certo, poi lo viviamo con tutti i nostri limiti.
A giudicare dai risultati immediati, de Foucauld può apparire un perdente. Cosa suggerisce ai cristiani di oggi?
Mi viene spontaneo pensare che, poiché Fr Carlo ha talmente desiderato la somiglianza con l’Amato, con Gesù, e dunque, con il suo linguaggio “l’ultimo posto, l’umiliazione, il fallimento…” sia stato esaudito e Dio l’abbia preso sul serio. In questo senso si tratta della sua vicenda spirituale personale, come Dio l’ha concessa ad alcuni in modo evidente, Francesco d’Assisi per esempio… e il cui valore però è comune e indicativo per tutti quelli che amano il Signore. Tutti noi, discepoli di Gesù, siamo chiamati, in forme diverse, a conoscere nella nostra carne, nella nostra vita concreta, qualcosa di Lui, a
passare attraverso la Croce…
Un altro aspetto, collegato e forse non meno importante, sta nel fatto che nel mondo di oggi, (anche cristiano), il rischio di venerazione e quasi assolutizzazione del successo nella vita è reale. E di conseguenza, tutti quelli che “non ce la fanno” e che a un certo punto sono quasi schiacciati dall’esigenza del “sempre più e sempre meglio e sempre più in fretta…”, rischiano di vivere con disperazione l’insuccesso, il fallimento e la perdita. Fr.Carlo ci dice con la sua vita che il “fallimento e la perdita”, oserei dire anche spirituale, nel senso di non raggiungimento di desideri, scopi e progetti personali o comunitari o ecclesiali, vissuto nell’amore fino alla prova finale, ha senso ed è fecondo, e si può vivere diversamente. Cioè in comunione con Gesù, nella fiducia che ciò che siamo, figli di un Padre che ci ama, è ben più di ciò che possiamo realizzare. Non c’è dunque un solo modo, disperato, di
attraversare le prove,
compresa la prova che arriva quando si tentano i bilanci della propria vita… Questo può dare consolazione e speranza a tanti, a tutti noi, quando ci capita di sentirci marginalizzati da una società, da un gruppo, da qualsiasi forma di comunità che guarda al successo come allo scopo ultimo della nostra vita. Nello stesso tempo, proprio il fallimento e la perdita, come anche la prova attuale che attraversiamo, sono, con tutto il carico di dolore e sofferenza che comportano, occasioni straordinarie per rivedere le priorità della vita, ciò che vale veramente…
Per de Foucauld i poveri sono i destinatari prediletti di Gesù. Non ti sembra che nella Chiesa questo sia un tema un po’ abbandonato?
Se c’è un tempo in cui quasi quotidianamente sentiamo dalla massima autorità della Chiesa un richiamo in favore dei poveri è questo. Non saprei trovare un solo discorso o preghiera o insegnamento di Papa Francesco nel quale non si trovi un’esplicita menzione e richiamo in questo senso, e spesso si tratta di un accorato appello. Il problema è piuttosto quale Chiesa siamo e vogliamo essere, come stiamo o no ascoltando oggi questo insegnamento che viene dal cuore stesso del Papa.
In questo tempo mi commuove particolarmente la Chiesa di Bergamo, la più provata in questo dramma della pandemia,
che, a partire dal vescovo Francesco, e insieme a tanti preti e laici (come dire tutti i loro nomi?) sta testimoniando con le parole, i gesti, i mezzi di solidarietà, la vicinanza del Signore, la cura, la fraternità… Non diciamo né pensiamo più che è una chiesa ricca e lontana, autosufficiente, come magari si diceva. In questo momento e con questi gesti si rivela una chiesa vicina, dal cuore vivo e compassionevole. La Chiesa di Gesù, presente nella prova.
La “preghiera dell’abbandono” è una preghiera difficile da recitare…
Questa preghiera è tratta da una meditazione di fr. Carlo sulle parole di Gesù nella Passione. Sono dunque le parole attribuite a Gesù, al suo atteggiamento profondo verso il Padre. E come noi non possiamo dire Padre senza Gesù, cosi non possiamo vivere l’abbandono a Lui senza entrare nell’ atteggiamento di Gesù Figlio. Non possiamo recitare questa preghiera con le sole nostre forze, è vero. Quante volte inciampiamo su questo
“sono pronto a tutto, accetto tutto, fai di me ciò che ti piace…”.
Chi può dirlo dal profondo del cuore e in verità? Chi può dirlo tra quelli che hanno conosciuto la sventura nella vita? Abbiamo bisogno dell’aiuto del suo Spirito. Possiamo recitarla pensando a Gesù, ai suoi sentimenti, anche se non sono ancora i nostri. E chiedere che poco a poco Lui ci faccia partecipi della Sua vita con il Padre, affinché diventi sempre più anche la nostra. “Perché tu sei mio Padre”, perciò mi abbandono a Te, che mi conosci e vegli su di me, che mi ami e mi custodisci nella prova e nella vita…
Il testo che ha fatto conoscere la storia di frere Charles è “Come loro” di Renè Voillaume. Cosa vuol dire per te che ora vivi a Gerusalemme vivere e sentirsi “come loro?”
Questo titolo è una traduzione libera dal francese “Au coeur de masse” letteralmente “Nel cuore delle masse”. Come loro è un’espressione che è poi stata usata per tentare di spiegare l’inculturazione (“…mi sono fatto tutto a tutti…” (S.Paolo). Ma non si trova in fr. Carlo, almeno credo, l’espressione “come loro”. Mentre si trova ripetuto all’infinito “come Gesù”. Fr Carlo voleva essere come Gesù, fratello degli altri. Fratello universale perché accoglieva e incontrava gli altri, piccolo fratello per essere accessibile, disponibile agli altri… I lunghi 40 anni di fraternità, di cui più di 30 nel mondo arabo,
mi hanno mostrato chiaramente che non sarò mai “come loro”.
Per esempio, se condivido alcuni aspetti delle restrizioni imposte ai Palestinesi, a livello più profondo, non proverò mai l’umiliazione sulla mia pelle e nel mio cuore allo stesso livello. A livello della vita quotidiana, alcune cose della cultura, delle abitudini, della mentalità, ecc. rimarranno diverse tra me e loro, nonostante tutto lo sforzo di inculturazione. E questa esperienza è condivisa da tutte le sorelle che come me e prima di me hanno vissuto qui o altrove l’essere e l’accettare di vivere come stranieri e ospiti durante tutta la vita…Questo ha delle implicazioni umane e spirituali abbastanza profonde. E’ dunque a un altro livello che si pone la relazione, è l’incontro della diversità reso possibile dall’amicizia, e da una forma di amore sostenuto da Colui che ci invia. Direi che la formula di Fr. Carlo, dopo tutto il cammino della fraternità in questo tempo, rimane la più adatta: Come Gesù, piccolo fratello e piccola sorella degli altri…