Cl, la transizione di un movimento dopo le dimissioni di don Julian Carron. Il senso e il valore della testimonianza


Ai primi di ottobre abbiamo dato notizia del Motu proprio pontificio “Authenticum Charismatis” del 1° novembre 2020. Esso stabilisce che i fondatori di Movimenti e Comunità ecclesiali possono esercitare la leadership a vita, ma i loro successori non possono stare al comando per più di due mandati, comunque non oltre i dieci anni. Tempo due anni, per allinearsi alle nuove direttive.

La novità di questi giorni è che don Julian Carron, Presidente della Fraternità di Comunione e liberazione, non ha atteso i due anni, si è dimesso in questi giorni con una lettera alla Fraternità, “per favorire che il cambiamento della guida a cui siamo chiamati dal Santo Padre si svolga con la libertà che tale processo richiede… Questo porterà ciascuno ad assumersi in prima persona la responsabilità del carisma”. 

La decisione di Carron ha suscitato attenzione e commenti di opposto segno, visto che Comunione e Liberazione ha contato e conta molto nella Chiesa e nella società civile italiana e che, pertanto, ha addosso gli occhi di molti, spesso tutt’altro che benevoli. È l’OK Corral tra Papa Francesco e un Movimento a lui ostile? Il gesto “contiene una sfida”, come sostiene A. Polito sul Corriere della Sera? Una sfida di certo. Ma, rivolta al Papa o a CL? Secondo alcuni commentatori, Papa Francesco vuole addomesticare ruvidamente CL. Concordano con questa interpretazione non solo i nemici di CL, ma anche settori ciellini. Insomma: sarebbe la fine di CL. 

L’opinione di chi scrive è che la sfida non sia rivolta né al Papa né ai critici interni, bensì a tutto il Movimento che Carron ha diretto dal 19 marzo 2005. Non pare essere un rancoroso addio all’insegna dell’“adesso arrangiatevi!”. Se un aspetto tattico è individuabile, esso è mosso dalla preoccupazione che una transizione di potere lunga due anni possa far impantanare CL in diatribe interminabili e paralizzanti.

La fatica di una trasformazione profonda

Il suo gesto va compresa sullo sfondo di due questioni brucianti, ancorché di diversa urgenza. 

La prima è quella del passaggio dal tempo del “carisma” a quello della “democrazia”. Carron sapeva benissimo, fin dal 2005, di non essere un leader carismatico. “L’essere designato” come leader ne era già la controprova.  Ma il problema è dei ciellini, non di don Carron. Per loro la transizione alla democrazia è dolorosa. Il carisma faceva comodo a tutti. Intanto al leader carismatico. Una volta fondato e costruito un movimento sulla propria misura – anche se don Giussani sosteneva di non aver fondato nulla – il capo può fare ciò che vuole, dall’elaborazione teologica al consigliare il fidanzato/fidanzata più adatto/a, all’indicare le preferenze per il Consiglio comunale di Milano. Ma il carisma fa comodo soprattutto ai militanti. Perché li mette al riparo dal tormento del dubbio e dalle incertezze della scelta.

Il movimento si muove come una falange, che ti esalta nelle vittorie, sempre memorabili, e ti conforta nelle sconfitte, sempre gloriose. Il passaggio alla responsabilità personale è doloroso e faticoso, perché svanisce l’effetto-falange.

Su questo tema Carron ha insistito fin dal suo discorso di accettazione dell’investitura il 19 marzo 2005: occorre passare dal Noi all’Io, all’assunzione di responsabilità personali. Una posizione scomoda, che non risparmia né i vertici né la base e che genera divergenze e divisioni.  Non che fossero mancate all’epoca di don Giussani, ma la potenza del carisma le aveva rese inoffensive o, comunque, ricomprese. Con la gestione Carron sono emerse più libere e più nette. 

Una riflessione in divenire su come stare nel mondo

La seconda questione bruciante è che, a partire dal maggio 2012, Carron ha accompagnato/promosso la modifica dell’identità storica di CL su un punto identificante: sul come stare nel mondo. 

Quella dello “stare nel mondo senza essere del mondo” è una postura assai scomoda, già prevista dal Vangelo di Giovanni come drammatica. È il rapporto con la politica. CL lo ha declinato, dando vita al Movimento popolare, nato il 29 maggio 1975 e sciolto il 2 dicembre 1993. Dopo lo scioglimento, ha continuato, attraverso propri esponenti – di cui il più noto è Roberto Formigoni – a partecipare alla battaglia politica, attraversando prima il processo di decomposizione della DC e poi quello di formazione di Forza Italia e del PdL. Formigoni è stato presidente della Regione Lombardia dal 1995 al 2013. Nel 1986 CL ha poi promosso la Compagnia delle Opere come strumento di presenza attiva nella società. Insomma, CL ha praticato “la presenza”, in contrapposizione polemica, fin dagli anni ‘’60, alla “scelta religiosa”, tipica dei movimenti cattolici ufficiali, dall’Azione cattolica alla Fuci, assumendo posizioni nette su divorzio, aborto, procreazione assistita, riconoscimento delle coppie omossessuali, caso Englaro e governando da posizioni di potere le istituzioni, dall’amministrazione della Sanità alla Formazione professionale ecc…

Distribuiti in un intero arcobaleno politico

Solo che l’estenuazione finale del berlusconismo nel 2011 e il coinvolgimento di Roberto Formigoni in note vicende giudiziarie, hanno spinto Julian Carron nel maggio del 2012 a scrivere una lettera al Corriere della Sera, in cui, chiedendo perdono pubblicamente per i peccati politici di CL, ha finito per dare una contro-sterzata spiritualizzante alla presenza ciellina nella società e nella politica. Di lì in avanti i ciellini si sono distribuiti, dai vertici alla base, sull’intero arcobaleno politico e CL ha cessato di esprimere una posizione politica unica. Dunque: “uniti nella Chiesa, liberi nella testimonianza”. L’esatto contrario di quella parte di ciellini che continua a pensare che si debba essere “liberi nella Chiesa, uniti nella testimonianza socio-politica”.

Il Movimento è cambiato ed è, a questo punto, impossibile prevedere quale ne sarà il destino in Italia, mentre sembra fiorire a livello internazionale. Sarà la fine o un nuovo inizio?

Resta sul fondo una questione: come tutti i cittadini della Repubblica, anche i cittadini credenti hanno il diritto/dovere di fare politica e di associarsi liberamente per sostenere i propri valori. Hanno diritto di “fare partito” e di concorrere per il potere, al fine di affermare i propri valori nella società civile e nello Stato. Il Card. Newmann era arrivato ad affermare, nel contesto inglese ostile al cattolicesimo, che la Chiesa è un partito.

La questione della presenza dei cattolici in politica

Per limitarci all’Europa del ‘900, i cattolici hanno fatto politica/partito in molti modi. Don Luigi Sturzo fondò il Partito popolare nel 1919: “un partito di cattolici”, non “un partito cattolico”. Negli anni Venti e Trenta, Pio XI sostenne il fascimo, in nome della difesa dei valori cattolici contro il comunismo, appoggiò nel 1932-33 la destra del Zentrum cattolico, diretta da Von Papen, filo-hitleriano e si schierò con Franco nel 1936. De Gasperi, con l’appoggio di Montini, nel 1943 fondò la DC, “un partito cattolico”. 

E nel 2021 in Italia? I cattolici godono della piena libertà di politica e di partito. Eppure un partito cattolico non pare all’ordine del giorno. Perché stare uniti sul piano dei dogmi e dell’etica viene facile. Più difficile praticare questa unità sul terreno friabile e fallibile della società e della politica, dove non contano solo le credenze assolute, ma anche i giudizi di fatto e le circostanze.

Risulta perciò improprio rivestire di senso sacrale e soteriologico le scelte concrete sulla bioetica, sulla famiglia, sulla sanità o sui trasporti o sulla scuola fino a farne criteri di giudizio di fedeltà alla fede e alla Chiesa. Vedi casi di Biden o di Draghi, ambedue credenti, il primo poco amato dai Vescovi americani. Donde la diaspora politica dei cattolici. Alle spalle sta una svolta epocale, almeno in Europa: la caduta verticale del senso religioso e, di conseguenza, del Cristianesimo. Se i cattolici sono maggioranza sociologica, fanno politica in un modo; se sono minoranza, in un altro. A questo punto, non ci sono più sentieri sicuri per nessuno. Chi ha o crede di avere filo, deve solo tessere la sua tela.