Verso l’alt(r)o, la meditazione della settimana: vivere il tempo dei costruttori

Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito.

Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe

Tra limitazioni persistenti e luci in fondo al tunnel, abbiamo il dovere e l’occasione di vivere il tempo dei costruttori. La pandemia si è abbattuta con la violenza di un uragano sulle vite e sulle storie. Ha aperto ferite ancora sanguinanti e ha provocato rotture che hanno ridotto a frammenti. 

Se le aziende invocano il bisogno di ripartire, le vite gridano il desiderio di rinascere. Le storie degli uomini e delle donne non accettano di essere messe in pausa per poi ricominciare come se nulla fosse accaduto, hanno bisogno di nuova generazione. 

Penso in particolare ai ragazzi, che come era prevedibile hanno subito maggiormente i colpi nefasti di questo terremoto. L’età adolescenziale è costituzionalmente la più fragile sotto diversi aspetti, le criticità e difficoltà segnano l’avventura del crescere. Trasferire la propria esistenza dietro uno schermo rischia di far perdere tesori quali l’identità e il desiderio.

La costruzione della propria identità è un fatto complesso, che non può prescindere dalla relazione. Non si dà io senza l’altro. Non ci si conosce di fronte allo specchio. Prima della pandemia l’interazione fra reale e virtuale era una questione difficile, ma al contempo intrigante: corpo reale e corpo digitale, biografia vissuta e biografia ‘social’ potevano entrare in relazioni delicate, interessanti e pericolose. Ora questa dialettica ha perso l’equilibrio.

Il desiderio è una fiamma che può ardere e divampare, oppure affievolirsi e spegnersi lentamente. In questo caso cessa di scaldare, di illuminare, di dare vita. I desideri indicano una meta e segnano una via. Danno senso e bellezza all’impegno e al sacrificio. Lo sport, per i giovani ma non solo, è in questo palestra di vita. La scuola stessa, anche se in forma meno evidente, si fa luogo di addestramento ben oltre l’acquisizione dei contenuti disciplinari. E in questo la didattica a distanza ha fallito, come forse era inevitabile. 

C’è chi scalpita per tornare a correre in un campo da calcio, a incontrare i coetanei sui banchi di scuola o nei portici dell’oratorio, ma ci sono anche tanti ragazzi che si sono ripiegati sul vuoto. Che hanno smesso di partecipare alle proposte aggregative non tanto per paura del contagio quanto per aver adagiato le loro vite. Che in fondo non trovano la volontà per uscire dal limbo di cui siamo prigionieri. L’abbandono scolastico, lo svuotamento degli oratori, la chiusura sociale rischiano di essere i nuovi drammi da affrontare. E per questo non c’è, né ci sarà, un vaccino. 

Tanti ragazzi oggi non saprebbero rispondere alle domande ‘Chi sei’ e ‘Cosa desideri?’. Si aprono sfide inedite. In un tempo fragile. E per questo potenzialmente fecondo. Un tempo da abitare con la sapienza dell’agricoltore e il coraggio del navigatore. Con il discorrere del narratore e lo sguardo del credente. Un tempo di cui dobbiamo sentire la responsabilità. Per tornare a sognare e rigenerare vite. Gli uni per gli altri.