Ragazzi chiusi in una stanza: “Non sopportano le pressioni del mondo”

“Stare in disparte, isolarsi” è il significato della parola hikikomori, termine giapponese che deriva dal verbo hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi). Con questo termine si definisce una particolare sindrome, che colpisce giovani e giovanissimi, disturbo descritto e osservato prima in Oriente ma che da un po’ di anni si riscontra anche in Occidente. Ovviamente il confinamento forzato durante i lockdown ha fatto esplodere il fenomeno anche in Italia. 

Ne parliamo con gli psicologi Nicola Conti e Edoardo Pessina, entrambi coordinatori regionali della Lombardia di Hikikomori Italia (https://www.hikikomoriitalia.it), prima associazione nazionale italiana che offre informazione e supporto sul tema dell’isolamento sociale volontario fondata da Marco Crepaldi nel 2017.

  • Dottor Conti, quali sono i maggiori sintomi che fanno sospettare ai genitori che il proprio figlio è caduto preda del fenomeno chiamato Hikikomori? 

«I genitori arrivano a rivolgersi a noi distrutti, stanchi, perché il problema satura lo spazio familiare. La maggior parte di loro non conoscevano né il fenomeno Hikikomori e né la nostra associazione. Iniziano a dire che il loro figlio ha una dipendenza nei confronti dei videogiochi, di Internet e della playstation. I genitori proseguono dicendo che il ragazzo non esce più di casa e non va più a scuola, non ha amici se non virtuali, “pescati” sui social. Questi sono dunque i maggiori sintomi di un fenomeno che è in escalation. Un ragazzo già introverso per carattere, non aperto alla vita sociale, inizia ad avere la tendenza a chiudersi sempre di più. Poi il ragazzo incomincia a perdere gli amici e ad allontanarsi sempre di più dalla società. Inizia a usare sempre di più i videogiochi, a rimanere sempre più connesso con Internet. Internet e i videogiochi sono un modo per riempire il proprio vuoto interiore. Il ragazzo si allontana sempre più dalla società, perché le pressioni nella società sono troppo alte per lui. Inoltre il giovane non si riconosce nei valori della società di appartenenza, per non parlare delle pressioni di realizzazione sociale che sono troppo alte. “Non ce la faccio, quindi mi ritiro”. Ovvio che questo “ritiro” avviene in modo graduale. Ci sono anche degli eventi che possono portare a un rapido peggioramento, per esempio cambiare scuola, passare delle Medie alla Superiori, o dalle Superiori all’Università. In pratica quando il ragazzo deve mettersi in gioco e tirare fuori le proprie risorse. La fuga, cioè l’auto isolamento, in questo caso diventa il modo migliore per evitare di affrontare tutto quello che non si è in grado di affrontare, cioè il confronto sociale».  

  • Gli hikikomori italiani, secondo stime non ufficiali, sono circa 100mila, ma tanti non chiedono aiuto. È vero che si  tratta soprattutto di giovani uomini, di età compresa tra i 14 e i 30 anni?

«Sì, anzi l’età media si sta abbassando, anche bambini di 10 anni. L’età media in futuro si alzerà, perché in Giappone ci sono uomini Hikikomori di quarant’anni e oltre. Chi aiuta questi uomini se i genitori, come è probabile, sono venuti a mancare? Chi li mantiene economicamente? In Giappone stanno cercando di affrontare questo problema, nel nostro Paese ancora non ci siamo arrivati. Se i ragazzi non vengono aiutati, il disturbo del quale soffrono si cronicizza. Che non ci siano ragazze Hikikomori, forse è legato al fatto, come sostiene Marco Crepaldi nel suo libro, che per i genitori non è un problema, è normale se una giovane figlia, un’adolescente, resta un po’ di più a casa. Ma questa è solo un’ipotesi, se ci riferiamo a quei genitori che non denunciano una figlia, che non esce di casa. Sappiamo che effettivamente il fenomeno riguarda più i maschi piuttosto che le femmine. Le relazioni sociali non è che vengano interrotte, ma restano virtuali, e questo è un bel problema, inoltre il ragazzo Hikikomori spesso resta sveglio di notte, smanettando sul PC, dormendo di giorno. Mentre il mondo dorme, il giovane vive senza nessuno, genitori inclusi, che gli dia fastidio. Senza pressioni di nessun tipo».

  • Il fenomeno è ancora poco conosciuto e coloro che ne soffrono si sentono spesso soli e incompresi nel proprio disagio. Perché i numeri sembrano essere in crescita in molte nazioni economicamente sviluppate? 

«Proprio a causa delle pressioni che comporta nascere, crescere e vivere in una società capitalistica. Una società che premia una determinata persona quando è capace di offrire una determinata performance. Una società in cui una persona riesce a raggiungere degli obiettivi sociali, economici, lavorativi. Nel momento che il giovane non ce la fa, viene considerato, e di conseguenza si considera, un perdente. In Giappone, non a caso, le pressioni sociali di realizzazione professionale e personale sono enormi. Chi è più fragile, si ritira. “Non mi piacciono i valori che la società nella quale vivo mi propone” quindi “mi isolo”, come gli eremiti “e mi creo il mio mondo nel quale sono sicuro. Sono salvo”. È un modo sbagliato, disfunzionale per affrontare un problema. Ecco perché in Europa, nel nostro Paese e negli Stati Uniti, il fenomeno si sta diffondendo a macchia d’olio». 

  • Per quale motivo, ad oggi non c’è ancora una diagnosi ufficiale del DSM-5 (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali) sul fenomeno Hikikomori anche se richiede l’intervento di uno psichiatra o altro specialista della salute mentale? 

«C’è la diagnosi di “ritiro sociale” non di Hikikomori, perché c’è il discorso che questo disturbo sia legato a un fatto culturale e che quindi non sia un disturbo clinico. Ma non è così. Infatti, si sta cercando di capire se si può inserire nel prossimo Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, perché il fenomeno Hikikomori ha delle conseguenze cliniche, oltre che sociali e culturali».

  • Si può uscire dal tunnel dell’isolamento e in che modo? 

«Più l’intervento è preventivo e più è rapido, meglio è. È stato riscontrato che un intervento “duro”, come togliere al giovane la playstation, o il PC o il cellulare, non funziona, anzi porta alla cronicizzazione del fenomeno. Sul sito della nostra associazione parliamo delle “Buone prassi”, un modo che indica ai genitori come comportarsi con i figli. Mai il “muro contro muro”. Mai stare addosso al ragazzo ma lasciargli i suoi spazi, permettergli di sviluppare la sua autonomia e di conoscere le sue capacità e potenzialità. Autonomamente il ragazzo ce la può fare. Il processo è lungo e lento e ha a che fare con tutta la sfera familiare. Bisogna armarsi di tanta pazienza. Occorre trovare un’alleanza con i propri figli ma questa dovrebbe essere una regola generale, che va oltre il fenomeno Hikikomori».

  • Dottor Pessina, le richieste di aiuto sono aumentate da quando il nostro Paese sta vivendo l’emergenza da pandemia da SARSCoV2

«Prima di tutto si è abbassata l’età dei ragazzi che hanno iniziato ad avere problemi di ritiro sociale, che smettono di frequentare la scuola, anche la DAD. Quindi sì, le richieste di aiuto stanno aumentando ma non sono visibili in tutte le regioni italiane. Si rivolgono a noi i genitori di preadolescenti di 12/13 anni, mentre anni fa arrivavano ragazzi più grandi. Non sappiamo se ciò sia stato solo determinato dalla pandemia, una cosa è certa: la pandemia ha aggravato il fenomeno, perché a quell’età lì, 12/13 anni si è deboli e vulnerabili».

  • Le nuove abitudini imposte dalla quarantena come l’accesso costante alle piattaforme di streaming, l’uso di PC, smartphone e consolle possono aver favorito la crescita del fenomeno Hikikomori? 

«Hikikomori non vuol dire essere dipendenti da Internet, però essendo la manifestazione di un disagio che è sempre più frequente non solo per il contesto culturale,  è ovvio che c’è anche la componente tecnologica, e ciò può aggravare il fenomeno Hikikomori. Quello che è aumentato tantissimo tra gli adolescenti in questo periodo è l’uso di Twitch.tv, una piattaforma di live streaming, dove ci sono persone che giocano, che fanno degli spettacoli, un po’ come la televisione generalista che sta nei nostri salotti. Con Twitch.tv si può essere spettatori passivi, i personaggi della tv tradizionale vanno ospiti dai presentatori di questo canale. Il pubblico tradizionale non si rende mica conto dell’impatto che Twitch.tv ha sugli adolescenti e preadolescenti. È chiaro che se uno fa una diretta di sei ore ogni giorno e c’è un pubblico che segue questa diretta per sei ore di fila, dà un’idea di interazione, pur essendo uno spettacolo passivo. Ci si affeziona alla persona che lo fa. Internet non è il male, consigliamo ai genitori di non togliere ai loro figli il PC, che per loro rappresenta la socialità, altrimenti si rischiano brutti pensieri o gesti inconsulti. Twitch.tv, per esempio, in quel momento risponde a un bisogno, se quel bisogno c’è, vuol dire che c’è una sofferenza pregressa. Questa sofferenza ha a che fare con la competitività, con la mancanza di speranza nel futuro e con l’inseguire questa idea di adeguatezza, che si fa sempre più feroce, competitiva». 

  • Qual è stato l’effetto della pandemia su quei giovani che avevano scelto già da tempo il ritiro sociale? 

«Nella prima fase del lockdown, molti giovani Hikikomori hanno tirato un respiro di sollievo: “Ora anche le altre persone stanno come noi e quindi noi siamo come gli altri”. E quindi si è fermata la pressione dell’aspettativa, che è il loro vero incubo, perché i ragazzi Hikikomori hanno l’incubo del tempo, che passa in modo non produttivo. Quindi nella loro vita, almeno per ora, non c’è nessun traguardo da raggiungere. Il mondo si era fermato durante il lockdown, quindi questi ragazzi non avevano più l’angoscia del percepire di star perdendo tempo. Nella seconda fase i ragazzi Hikikomori hanno visto le persone insofferenti, perché non potevano uscire, e questo ha fatto percepire loro quanto siano invisibili nei confronti della società. Bisogna parlare di questi problemi, che sono sommersi e non visibili come per esempio lo è il bullismo. Alcune persone di 30/40 anni sono auto reclusi a casa, mantenuti dalla pensione dei genitori, e la società non lo sa, quindi sono invisibili. Per noi terapeuti è stato duro vedere alcuni ragazzi che si stavano sciogliendo, tornare a auto isolarsi, questa volta però a causa del lockdown. Ritornare a fare il primo grande passo è molto difficile. Deve ritornare la motivazione». 

  • Lo studente Hikikomori ha tratto giovamento dalla DAD?

«Alcuni Hikikomori ne hanno tratto giovamento, cioè quelli che non riuscivano a frequentare la scuola. La DAD per un ragazzo Hikikomori da un lato è protettiva, perché si può essere quasi invisibili, da un altro lato si capisce quanto si è separati dagli altri studenti, che hanno continuato a frequentare normalmente la scuola con le loro amicizie e così via. Cioè sono socialmente attivi, al contrario del ragazzo Hikikomori, che è in DAD con loro, ma che non c’è». 

  • Com’è la situazione in Lombardia

«La Lombardia è una delle regioni italiane con più richieste di aiuto, non perché in Lombardia vi siano più Hikikomori rispetto al resto del Paese, ma perché qui c’è la cultura della psicologia, della possibilità di chiedere aiuto. Una cultura più moderna e sicuramente più europea di altre regioni italiane».