Il saggio di Chapoutot: “Nazismo e management. Liberi di obbedire”

La proposta di lettura della Biblioteca diocesana del Seminario Giovanni XXIII di Bergamo: Nazismo e management. Liberi di obbedire”, di J. Chapoutot

Il saggio di Johann Chapoutot si fonda su un apparente paradosso ben sintetizzato dal titolo, libres d’obéir, un ossimoro che porta il lettore a riflettere sui meccanismi manageriali e psicologici alla base delle organizzazioni produttive, dal periodo nazista ai giorni nostri.

L’Autore, storico e accademico francese, propone una lettura delle pratiche organizzative del regime nazista in chiave storica, mostrando una certa continuità tra le tecniche sviluppate dai leader nazisti e un tipo di linguaggio e metodo presente ancora oggi nell’ideologia neoliberista.

In primo luogo, Chapoutot sofferma la sua analisi sull’antico topos etnonazionalista della “libertà germanica”, secondo cui obbedire agli ordini ricevuti e raggiungere gli obiettivi prefissati, attraverso una certa flessibilità e iniziativa individuale, avrebbe permesso alla comunità del Terzo Reich di espandere il proprio spazio vitale e di imporsi sulle razze inferiori. In un simile immaginario, che poneva la razza al di sopra di qualsiasi forma giuridica, anche lo Stato veniva concepito come mero mezzo in vista di un fine.


In secondo luogo, attraverso la figura di Reinhard Höhn, brillante avvocato e funzionario delle SS sfuggito ai processi contro i crimini di guerra, Chapoutot mette in luce il rapporto tra ideologia nazista, cultura del management industriale negli anni del “boom economico” tedesco e metodi aziendali attuali, spesso accusati di ridurre i lavoratori, apparentemente autonomi e liberi, a mero “capitale produttivo”, sorvegliato e manipolato da piattaforme algoritmiche.


Höhn, come molti altri ex gerarchi delle SS, si reinventò come esperto nella gestione degli apparati industriali, perpetuando la concezione nazista del management, non esplicitamente coercitivo ma, come accade anche oggi in certi contesti lavorativi, illusoriamente benevolo, in cui imperativi come “elasticità”, “performance”, “produttività”, “iniziativa creativa” e “redditività” ci appaion fin troppo familiari.


Avvicinare il Terzo Reich al nostro presente può sembrare paradossale ma, come già teorizzato dal
sociologo Zygmunt Bauman, può anche rivelarsi utile per comprendere l’organizzazione capitalistica attuale.

Chiara Maino