Sinodo dei Vescovi 2021. Giuseppe Notarstefano: “Rimette al centro la comunità”

Giuseppe Notarstefano
Giuseppe Notarstefano

Giuseppe Notarstefano, 51 anni siciliano, ricercatore di Statistica economica alla Lumsa di Palermo, città dove vive, è il nuovo presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana per il triennio 2021-2024, nominato alla fine dello scorso maggio dal Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana. 

Notarstefano spiega e commenta tutte le novità riguardanti la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, il cui tema è “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione” e il cui percorso si articolerà in tre fasi, da ottobre 2021 a ottobre del 2023, con una fase diocesana, una continentale, fino a quella conclusiva a livello di Chiesa Universale.

L’assemblea che normalmente coinvolgeva solo i vescovi per decidere sulle grandi questioni, ora partirà dal basso con la partecipazione di tutti i cattolici. Arriva una ulteriore “rivoluzione” nella Chiesa di Papa Francesco? 

«Credo che questa scelta del Papa sia in linea con una prospettiva che nasce dal Concilio Vaticano II. L’obiettivo è quello di rimettere al centro le comunità in tutte le espressioni. Quindi le comunità come luogo dove la Chiesa si esprime in tutta la sua varietà e in tutta la sua capacità, anche di accogliere e assumere le domande e le sfide delle persone di questo tempo. Un percorso sinodale, che vuole mettere l’ascolto al centro, vuole partire dalle comunità stimolando le stesse comunità a essere luoghi capaci di ascolto. Non so se questo sia un percorso rivoluzionario, è il desiderio di una Chiesa che vive tra la gente. Una Chiesa che vive in mezzo al popolo».

Il Sinodo non sarà dunque solo un grande evento, “ma un processo che coinvolge in sinergia il Popolo di Dio, il Collegio episcopale e il Vescovo di Roma, ciascuno secondo la propria funzione” ha scritto la Santa Sede. Una decisione dunque aderente allo spirito del Concilio Vaticano II?

«Sì, il desiderio che pastori e popolo camminino insieme, che la Chiesa che è il popolo di Dio in cammino, sia anche corpo di Cristo. Dice bene la sottolineatura della parola “processo”. “Processo” significa che il Sinodo non è soltanto un evento, ma è uno stile da apprendere. È una prospettiva, un orizzonte, un modo di essere Chiesa per questo tempo».

Il Santo Padre vuole dimostrare che la fase di riforma della Chiesa, soprattutto in un momento come questo, post pandemia, non può fermarsi solo al funzionamento della Curia Romana ma deve rinnovare la Chiesa intera considerata come popolo di Dio? 

«Sì. C’è una responsabilità particolare degli stretti collaboratori, a tutti i livelli, che vale per il Papa, per la Curia Romana e vale anche per tutte le realtà che collaborano intorno ai vescovi, nelle Diocesi. C’è una particolare responsabilità a essere in qualche maniera coloro che animano, che accompagnano e che spingono per usare un’immagine dell’”Evangelii Gaudium”, come il pastore che spinge le pecore del gregge. Da questo punto di vista si vuole sollecitare una partecipazione dal basso, che chiede di essere ingaggiato in questo percorso. Il cammino della Chiesa è sempre una conversione, ci attendono delle sfide di ordine pratico su molti fronti, mi riferisco alla questione dei beni al servizio dei poveri. Ci sono tante questioni, che chiedono risposte di tipo organizzativo o concreto. Però questo stile di rinnovamento non è solo legato a degli aspetti pratici e organizzativi. È un modo di corrispondere in profondità ai bisogni delle donne e degli uomini del nostro tempo, che chiedono di vedere una Chiesa che vive con più trasparenza e più radicalità il Vangelo».

Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Una Chiesa dunque capace di assumere uno stile sempre più “sinodale”. Cos’è questa sinodalità di cui tanto si parla e per quale motivo è diventata così cruciale?  

«La sinodalità è la forma storica della Chiesa. La Chiesa è una realtà di cristiani che sono in cammino; anticamente i primi cristiani venivano chiamati “gli uomini e le donne della via”. L’immagine del pellegrino, del camminare, è l’immagine che descrive meglio l’esperienza della vita cristiana. E allora una Chiesa che si mette in cammino, che cammina tutti insieme, un cammino che vuole essere cammino inclusivo, che non lascia indietro nessuno. Quindi una Chiesa che è capace di camminare e di dialogare, includere e di far partecipare tutti. Di far partecipare tutte le diverse età, nella sinodalità devono partecipare i bambini, i più piccoli e anche i più anziani, che sono più preparati, come i teologi. Devono partecipare i più semplici e le persone dalla diverse condizioni di vita delle diverse parti del mondo.  Sinodalità è anche tenere insieme tutte queste cose, trovare un modo che aiuti a valorizzare le pluralità, le diversità, i carismi che ci sono nella Chiesa, le vocazioni. Nelle associazioni e nei movimenti laici questa varietà è rappresentata, tenerla dentro, incoraggiarla a partecipare a diventare protagonista di questo percorso sinodale, significa restituire a questo percorso sinodale questa capacità di tenere insieme tutti».

Questa riforma del Sinodo dei Vescovi che partirà dal basso, dalle diocesi, non mortificherà la funzione episcopale, ma la renderà garante della domanda che viene dal popolo di Dio?

«Credo di sì, ritengo che ci sia un vivo desiderio del Papa e anche dei nostri vescovi di mettersi in cammino in questo tempo, di sapere che il Vangelo oggi è una notizia bella per l’uomo del Terzo Millennio. Il Vangelo non è qualcosa che ci allontana da questo tempo e ci aiuta a trovare una forma che è una forma comunitaria e che ci spiega che dobbiamo costruire in modo fraterno questo percorso della ricerca del bene. Da un lato custodire la straordinaria attualità del Vangelo, che nel corso dei secoli è stato accompagnato dal magistero sapiente della Chiesa e dall’altro lato la capacità di vedere la fede di quel popolo. Papa Francesco ci ha mostrato in questi anni che anche nel popolo ci sono delle espressioni di fede, che vanno guardate con attenzione. Tenere insieme tutta questa ricchezza, che rimette in cammino la Chiesa e la fa diventare una realtà viva per questo tempo». 

Nella Sua nuova veste di Presidente dell’Azione Cattolica Italiana, in questo particolare momento storico, quale ritiene siano le sfide che attendono l’associazione cattolica laica? 

«Pensando al nostro Paese, che sta attraversando un periodo travagliato, lacerato da tante divisioni che agitano la vita pubblica e sociale, ritengo che Azione Cattolica abbia un compito importante, quello di cercare di dare un piccolo contributo per ritessere il legame sociale. L’associazione è di per sé stessa una forma che mette insieme le persone e che lavora sulle relazioni, sull’educazione e sulla formazione, sulla capacità di stare insieme, di prendersi cura delle nostre parrocchie e dei nostri territori. Cercare dunque di far rigenerare la vita comunitaria, aiutando le persone a far loro scoprire che il “noi” è meglio dell’”io” ».