L’Italia fa record di medaglie alle Olimpiadi e i suoi atleti regalano emozioni

Incredibile, straordinario, sorprendente, eccitante, commovente, da pelle d’oca. La retorica spesso rischia di essere ridondante e di appesantire un lieto evento, ma ci sono eventi talmente lieti che della retorica se ne infischiano e anche se se ne abusa un po’, chissenefrega. E allora, abusiamone, facendo uscire dal cuore e dalla tastiera tutti i sentimenti che una giornata come quella che venerdì 6 agosto ci ha donato. Cosa è successo? È successo che alle Olimpiadi di Tokyo l’Italia ha conquistato 3 medaglie e tutte tre sono del metallo più prezioso: d’oro. Prima nella 20 km di marcia con Antonella Palmisano, poi nel karate -75 kg con Gigi Busà e qualche minuto più tardi le frecce della 4×100 maschile: Patta, Jacobs, Desalu e Tortu. 

Impossibile stare al passo con gli aggiornamenti del medagliere italiano che cambia minuto dopo minuto bruciando record su record. Ora dice 38 medaglie, di cui 10 d’oro, 10 d’argento e 18 di bronzo: il risultato più ricco nella storia delle Olimpiadi per il tricolore. Un tricolore che sventola sempre di più e che conferma di avere colori sempre più saturi e impressi sul cuore degli atleti quando il Paese, o un determinato movimento, vive di momenti di crisi. Noi siamo usciti da una Guerra, quella del Covid, che ci ha messo in ginocchio più che ogni altro Paese e ora, grazie allo sport, risaliamo, ci riuniamo, gioiamo, ci ritroviamo, ci riscopriamo. Un malsano piacere da dover affondare per risalire, ma questo è il nostro Dna e c’è poco da fare: non resta che conviverci e sapere che ad ogni passo nel buio succederà un trionfo.

È solo sport? Forse, eppure c’è dell’altro. Basta guardare negli occhi gli atleti che vincono: increduli, felici, sanamente rabbiosi, forti, generosi, semplici. Là nel Sol Levante dove ci sono solo tecnici e nessun famigliare, in tanti colgono l’occasione per mandare saluti a casa, citando la mamma tra le prime, primissime. Perché siamo un popolo fatto così che, mammone, trova negli affetti più stretti la forza per fare al meglio ciò che si sa fare meglio. Bamboccioni? Solo se questo cuore grande così lo si sfrutta male, non se lo si mette al servizio di un talento donato da Dio e fatto fruttare al meglio.

L’Italia, gli italiani, ha bisogno di emozioni forti e di cuori pulsanti. Non siamo mai lì a metà, forse un po’ traditori come la storia cerca di spiegarci, eppure radicali quando serve. O corriamo in testa dall’inizio alla fine come Palmisano oppure dobbiamo rimontare, morire, risorgere, arrivare da dietro. La staffetta ne è l’emblema con Tortu che, elevato in passato agli onori della cronaca e rimasto impantanato poi in risultati poco eccellenti, ha corso l’ultima frazione della staffetta stringendo in pugno il testimone come fosse l’Italia intera, come fossero i suoi sacrifici, come fossero i suoi allenamenti, come fosse il suo orgoglio contro le critiche per rendimenti non all’altezza. E ha rimontato, centimetro dopo centimetro, la Gran Bretagna che già assaporava il sapore del successo. Fino a mettere davanti la punta dei capelli: un centesimo in meno dei britannici ha sentenziato il cronometro.

Questi sono gli italiani che ci piacciono e questi sono gli italiani che dobbiamo seguire. Facciamo in modo che i ragazzini guardino questi atleti, facciamo in modo che da soli si facciano trascinare da uno sport piuttosto che da un altro, facciamo in modo che vedano negli occhi di quell’atleta la scintilla giusta per seguire le sue orme. Facciamolo adesso perché un’epoca così non passa in tutte le epoche. Portiamoli al parco a giocare questi bambini, facciamogli scoprire quegli sport definiti secondari eppure nobilissimi, come quell’atletica bistrattata eppure così bella e pulita, educativa per corpo e spirito.

Le Olimpiadi servono anche a questo, non è solo sport e soldi, sponsor e gloria, è spunto per trovarsi, per conoscersi, per capire – forse – quale può essere la strada da intraprendere nella vita.

@Foto Agenzia Dire, www.dire.it