Tornare sui banchi: “Dopo la dad, il nuovo inizio ha un sapore speciale”

Un nuovo inizio. Che ha un sapore speciale. Ancor più del solito. Tornare sui banchi e tornare in cattedra. Dopo che la didattica a distanza ha lasciato il segno negli ultimi mesi.

Simone Pedrini, insegnante di matematica e fisica, prova a raccontare come ha visto i ragazzi da dietro lo schermo.

Penso che la posizione dei ragazzi nei confronti di questo modo ‘nuovo’ di fare scuola sia cambiata con il passare del tempo – esordisce -. Inizialmente, un anno e mezzo fa, era apparsa come una novità, come qualcosa da ‘sperimentare’. L’anno scorso invece quando dopo solo un mese dall’inizio delle lezioni i ragazzi sono ritornati a vivere la Didattica a distanza hanno sentito tutta la fatica che questa scelta portava con sé.

Ricordo che alcuni di loro dicevano che non si sarebbero mai aspettati di poter dire di voler venire a scuola, di desiderarlo, di desiderare imparare seduti ad un banco accanto ai propri compagni.

“Ogni volta che entravano in classe era una festa”

Ricordo il tempo della didattica mista, in cui alcuni giorni i ragazzi erano a distanza e altri (pochi) in presenza.

Ricordo in particolare i ragazzi di una quinta, che venivano in presenza un giorno solo a settimana.

Avevo la fortuna di accoglierli alla prima ora ed era bellissimo osservare cosa accadeva quando entravano: saluti come se non si vedessero da una vita, gioia che si espandeva nell’aria, attenzione a cosa era cambiato in ciascuno, brioches sempre presenti. Insomma una festa.

La fatica della Dad per quello che ho potuto sperimentare ha permesso a molti ragazzi di riappropriarsi del desiderio più profondo di relazionarsi, di conoscere non a distanza, di scoprire l’importanza di avere un corpo con il quale si comunica e non può essere solo mediato da uno schermo”.

Le fatiche degli studenti e quelle degli insegnanti

Ci sono le fatiche degli studenti. Ma anche quelle degli insegnanti. “La prima difficoltà, che poi si è mostrata una risorsa, è associata allo stare di fronte alle loro domande. C’erano domande di fronte a cui stare, così, in ascolto, senza risposte, perché erano anche mie domande.

L’aver scoperto che si poteva stare di fronte a delle domande, esponendo e guardando tutti le proprie fragilità sentendole custodite è stato bellissimo. 

La seconda è associata all’aver compreso che vedere i ragazzi, anche solo nella loro posizione corporea, dà un’idea precisa e specifica di come loro stanno; vederli dietro uno schermo rendeva difficile leggere i segni esteriori del loro stare e per questo era necessario ‘andarli a prendere’ esattamente dove loro si trovavano, provando continuamente a fare lo sforzo di capire dove e come stavano.

Cercare nuovi modi per raggiungere ciascuno

La terza coincide con la necessità di ricercare nuovi modi per raggiungere ciascuno, per interessarli seppur mediati, per permettere loro di fare esperienze e scoperte vere pur essendo a casa, rimettendomi continuamente in discussione.

Infine, permettere ai ragazzi di provare a interfacciarsi con la materia senza che avessi tutto sotto controllo ma lasciando loro uno spazio di libertà personale con cui poi ritornare da me con domande che li avevano attraversati davvero è stata prima una fatica ma poi uno spazio di libertà, che mi ha permesso di scoprire davvero con loro”.

Adesso si apre un tempo con nuove sfide da giocare. “Spero che non si dica ‘ritorniamo al più presto a come era prima’. Sono cambiate alcune cose: sono stati fatti tagli nei programmi, sono stati messi in campo metodi che fino a poco fa erano solo teorici e mai sperimentati da nessuno”.

Un mistero che diventa occasione di scoperta per ciascuno

“Abbiamo scoperto nuovamente che siamo tutti di fronte ad un mistero che attraverso le materie può diventare occasione di scoperta per ciascuno (non solo per i ragazzi ma anche per gli insegnanti).

Abbiamo imparato che se non cerchiamo i ragazzi nel punto in cui sono e non partiamo da lì, dal punto di ognuno, la scuola non sarà luogo di crescita e scoperta vera.

Abbiamo scoperto che questo tempo ha generato fatiche psicologiche significative in tanti ragazzi ed è necessario mettere in campo competenze nuove ed esperti. Le sfide sono tante, ma sono troppo affascinanti per non coglierle in un tempo di trasformazione come questo”.

“Fare tesoro dell’esperienza di fragilità”

Non manca anche qualche paura. “Ciò che mi spaventa più di tutto è il fare finta che non sia successo nulla, il voler tornare a tutti i costi a come la scuola e noi eravamo prima della Dad e di questo periodo. Spero che le domande non vengano soffocate, che le buone pratiche non svaniscano a causa della comodità del ‘si è sempre fatto così’”.

Simone guarda all’anno che si apre con alcuni desideri nel cuore, per la scuola e per i suoi ragazzi. “Mi auguro in primis che non proviamo a cancellare il tempo che abbiamo vissuto ma facciamo tesoro di quelle esperienze di fragilità che ci hanno toccato e ci hanno permesso di ‘toccarci a distanza’.

Ancora, mi auguro che quel tornare all’essenziale che abbiamo dovuto sperimentare con scelte che partivano dall’osservazione della realtà dei ragazzi e della nostra di insegnanti, così com’era, senza giudicarla ma partendo da lì, diventi metodo perché la scuola sia davvero un luogo dove si parta da ciascun ragazzo, dove ognuno possa sentire la vertigine e il fascino delle scoperte vere e grandi per sé, degli sguardi buoni su di sé e possa sentirsi dischiuso al mondo come luogo dove lasciare la propria unica e irripetibile impronta”.