Narrare l’invisibile, la nostra spiritualità. Una sfida raccolta da 15 scrittori

Come narrare l’invisibile, provando a tradurre in parole la vita immateriale, tanto invisibile quanto indicibile, eppure così vera, della nostra spiritualità? È la sfida raccolta da quindici scrittori nell’antologia “La vita invisibile. Racconti di preghiera, pellegrinaggio, miracolo” (Avagliano Editore 2021, Collana “I Corimbi”, Postfazione di Francesca Bonafini. pp. 250, 18,00 euro), curata da Francesca Bonafini e Caterina Falconi.

I racconti sono di: Ariase Barretta, Elisabetta Bucciarelli, Alessandro Defilippi, Mascia Di Marco, Caterina Falconi, Beatrice Monroy, Alessandro Morbidelli, Demetrio Paolin, Carmen Pellegrino, Emanuele Ponturo, Patrizia Rinaldi, Mariano Sabatini, Eduardo Savarese, Andrea Tarabbia, Alessandro Zaccuri.

Caterina Falconi, laureata in Filosofia, che ha lavorato per due anni in un ospedale
missionario africano con il volontariato internazionale ed è educatrice in un istituto di
riabilitazione, i cui ultimi libri sono “Dammi da bere” (Mimep-Docete 2021) e “Dimmelo
adesso” (Vallecchi, 2021), ci spiega come è nata l’idea del volume e non solo.

  • Come è nata l’idea del volume?
    «L’idea è sbocciata mentre passeggiavo con un amico scrittore sotto il bianco porticato della Basilica di Loreto. Era la seconda o la terza incursione che facevamo assieme nei territori dell’anima (una perifrasi a indicare il pellegrinaggio). Dal mio canto, quella era l’ennesima puntata loretana. Mi era successo, prima di conoscere questo scrittore a suo modo devoto, di sperimentare il Sacro proprio davanti alla sfavillante nicchia della Madonnina nera: a un certo punto s’era fatto silenzio dentro e attorno a me, e in quel silenzio avevo captato… ero stata raggiunta da qualcosa di indicibile e indescrivibile a cui non avrei mai più rinunciato».
  • Nel proporre un’antologia del Sacro ai colleghi scrittori, qual era il suo intento?
    «Avevo notato che gli scrittori non parlano tanto e non lo fanno quasi mai pubblicamente, a meno d’essere autori dichiaratamente credenti, della loro spiritualità, del loro desiderio, o nostalgia, o percezione di Dio. Eppure nelle conversazioni private si lanciano in appassionate disquisizioni in materia. Quasi vi fossero, a parlare del Sacro, un pudore e una difficoltà oggettiva. La sfera spirituale attiene al mistero e quest’ultimo è inafferrabile. Uno scrittore è un addomesticatore di parole e sa che oltre una certa soglia esse si deformano, per questo tante volte abdica alla scommessa più grande: raccontare l’indicibile. Nel proporre la partecipazione all’antologia il mio intento era proprio lanciare questa sfida».
  • Il volume dimostra che si può avvicinare l’inconoscibile anche scrivendo un racconto?
    «Non sono sicura che siamo noi ad avvicinare l’inconoscibile, che non accada piuttosto il contrario. Per ogni piccolo passo mosso verso la Luce (penso a Paolo di Tarso), il Signore copre immense distanze per raggiungerci. Nel nostro essere creature limitate, ci rapportiamo al mistero come sappiamo, ciascuno secondo il proprio talento. Per uno scrittore di narrativa, la faccenda è ardua. Uno scrittore problematizza, scandaglia, rappresenta, in altre parole ritaglia e risistema il mondo nella pagina. Forse, parlare di Sacro per noi autori è smagliare la prosa, perché l’inconoscibile possa trafilare».
  • Una parte del ricavato della vendita del libro sarà devoluta all’associazione A Ruota Libera Onlus. Ce ne vuole parlare?
    «Io e l’altra curatrice dell’antologia, Francesca Bonafini, non avremmo tollerato di guadagnare soldi da un libro che tocca dei temi tanto elevati. Ci sarebbe sembrato, lo dico con enfasi, di peccare di simonia. Del resto tutti gli autori che hanno partecipato al progetto, con dei racconti meravigliosi, lo hanno fatto a titolo gratuito. Quindi, parte del ricavato sarà devoluto alla Onlus A Ruota Libera: perché dal bene concettuale derivi un sollievo economico a favore di chi si impegna nell’amore fattivo per i fragili»

Mariano Sabatini, giornalista e scrittore, nato nel 1971 a Roma, dove vive e lavora, ha scritto per i maggiori quotidiani, periodici e web, firmato programmi di successo per la Rai, Tmc e altri network nazionali, condotto rubriche in radio, frequenta gli studi televisivi come commentatore, pubblica racconti per riviste popolari e ha partecipato a varie antologie narrative. Dal 2001 ha scritto diversi libri di carattere saggistico e i romanzi “L’inganno dell’ippocastano”, (Salani, 2016), tradotto nei paesi di lingua francese, Premio Flaiano e Premio Romiti Opera prima (2017), “Primo venne Caino” (Salani, 2018), sempre con Leo Malinverno – giornalista investigativo – come protagonista. L’ultimo libro è “Scrivere è l’infinito” (Vallecchi 2021). È uno dei quindici autori del testo, sul quale gli abbiamo rivolto alcune domande.

  • Il libro è suddiviso in tre sezioni: Preghiera, Pellegrinaggio, Miracolo. In quale sezione si trova il Suo racconto e di cosa parla?
    «Nella sezione pellegrinaggio, inteso come viaggio di ricerca ed esplorazione anche del sé, che è poi quello che più conta. Ogni vita è un pellegrinaggio, la differenza la fanno le tappe che si decidono di inserire, o che si vogliono affrontare, e l’esito delle riflessioni che ciascuna di esse inducono. Con queste premesse, è nato il mio “Invito a nozze”, il bilancio di una intera esistenza, in apparenza luminosa e senza preoccupazioni. Ma come inevitabile è alle battute finali che ogni irrisolto si ripresenta con l’esigenza forte di risposte. Ciò che è stato lasciato in sospeso e si è volutamente tenuto chiuso e lontano,  torna rinvigorito dal tempo della rimozione. Le vere scelte forse sono però quelle estreme, sull’istanza delle
    urgenze».
  • Per tratteggiare la figura di Lucio Riccioli si è ispirato a qualcuno in particolare?
    «È un mio personalissimo omaggio a Luciano Rispoli, mio mentore e amico. Ho messo su carta una sorta di biografia d’invenzione. La mia rilettura della sua vita privatissima, segnata dall’incontro con il futuro San Pio da Pietralcina. Il famoso conduttore fu infatti sposato dal frate a San Giovanni Rotondo, alle 5 del mattino e, sebbene non fosse un credente, Luciano mantenne per tutta la vita il ricordo di quell’evento, in cui accaddero anche cose inspiegabili. Il personaggio è ispirato a lui, ma il resto sono mie inferenze e pura immaginazione».
  • Mariano, come si prova a raccontare l’indicibile?
    «Ammettendo di non essere davvero in grado, accettando di non poter essere completi né esaustivi, l’indicibile si può provare a evocarlo, a rappresentarlo, ci si può spingere a raffigurare la tensione che certi accadimenti o sentimenti ci inducono. Tutto qui. Ed è tanto».
  • Dio si può scorgere anche nel dubbio o in assenza di fede. Ci può dire che ne pensa al riguardo?
    «Con una provocazione direi che solo nel dubbio può esserci Dio o il senso del sacro. Avere fede vuol dire affidarsi, senza chiedere in cambio prove tangibili. In questo senso Pietro ha di gran lunga più fede di Tommaso, ritengo, ammesso che abbia un senso valutare il gradiente in queste cose. E per questo la mia è una vita che lotta con Dio, senza riuscire a credere in lui».