L’altra faccia delle periferie: Diffidenti racconta la rinascita di Zingonia

Quattro sguardi d'autore sulle periferie: il dossier di questa settimana si sofferma sul Festival Fotografica in corso a Bergamo fino al primo novembre, seguendo le ricerche di quattro fotografi sulle tracce dei "non luoghi", dei quartieri decentrati, di realtà a volte "invisibili" che sollecitano attenzione, cura, riflessione, e suggeriscono nuove chiavi interpretative per leggere il mondo (vicino e lontano)

Le periferie non sono solo “alla fine del mondo”. Non sono soltanto luoghi di degrado, ma anche di rinascita. Lo racconta con immagini dure e un po’ scomode – ma che all’improvviso si riempiono di poesia – “L’altra faccia”, la mostra del fotoreporter bergamasco Giovanni Diffidenti a “Fotografica 2021. Fuori dal centro“.

È una delle dieci esposizioni aperte al Monastero del Carmine, in Città Alta, fino al primo novembre, in un salone stretto e lungo, in una delle “ali” dell’edificio, allestita in un modo che invita a girare lo sguardo ad ogni passo, capovolgendo la prospettiva. La storia, sulla carta, è molto nota ed è quella delle famigerate “Torri” di Zingonia. Sono i condomini costruiti negli anni Sessanta dall’architetto Remo Zingone, da cui la zona prende il nome.

Oltre gli stereotipi sul degrado delle torri

Costruzioni avveniristiche per l’epoca, il cuore di una “città dei lavoratori” dotata di tutti i servizi. Negli anni invece è iniziato per loro un lento declino, che le ha condotte ad assumere il volto “degradato” degli ultimi anni: senza manutenzione, senza controllo, rifugio per marginalità di ogni genere.

Ogni scatto sposta un po’ più in là il confine delle percezioni dell’osservatore, spingendo a cambiare prospettiva sulla realtà. Un più e un meno disegnati sul pavimento offrono una prima chiave interpretativa.

“Sono entrato più volte nelle Torri – racconta Diffidenti – nel periodo che ha preceduto la demolizione e ho documentato quello che stava accadendo. Ho parlato con la gente, ho raccolto i loro ricordi, la rabbia, il desiderio di rivalsa”.

I giovani riscattano il futuro delle periferie

Oltre il velo superficiale di sporcizia, oltre l’aspetto malmesso e disordinato degli alloggi , il fotografo ha avvertito una corrente di speranza, una spinta verso il riscatto, il cambiamento, che si legge, per esempio, nelle scritte sul muro “#iononcedo Zingonia resiste“.

Il fotografo documenta l’attività di Sguazzi Onlus, “A Beautiful Wave”. Le immagini seguono il lavoro di recupero dell’associazione su questo territorio tra il 2018 e il 2019 e portano a conoscenza del processo che ha coinvolto le Torri di Ciserano, documentando come erano appena prima e durante l’abbattimento. Sono le storie di ragazze e ragazzi che vivono, interagiscono, vogliono confrontarsi e mettersi in gioco l’uno con “l’altro”. Gli altri sono la ragazza senegalese che gioca a basket con il ragazzo pakistano o l’istruttore bosniaco che insegna parkour al giovane italiano.

Com’è diversa, concentrandosi su di loro, la sequenza di foto che ha il segno “+”, quella che coglie i semi che germogliano, i raggi di luce, a partire soprattutto dai volti e dai gesti dei più giovani. Persone di culture e generazioni diverse che giocano fianco a fianco nella stessa squadra. Ragazzi che superano con naturalezza qualunque barriera culturale e sociale, a scuola come al bar dell’oratorio.

La “benzina” del cambiamento sono le relazioni

Comunità che si nutrono e crescono grazie alle relazioni reciproche, a un tessuto di progetti e iniziative che coinvolgono diversi soggetti: parrocchie, oratori, cooperative sociali, comuni, e che lentamente costruiscono una rete intorno a quella “terra di nessuno” al confine tra cinque comuni: Verdellino,  Verdello, Ciserano, Boltiere e Osio Sotto.

Quando le torri sono state demolite, nel 2019, è rimasto tutto il resto. È rimasto il tempo di scoprire che c’era molto di buono, fondamenta su cui costruire un futuro diverso, in cui le immagini “-“, quelle che mostrano il lato oscuro, sono memoria e monito, ma non cambiano lo stile di un territorio che sanando le sue ferite ha preso la parola “accoglienza” molto sul serio.