“Il posto degli uomini”. Intervista ad Aldo Cazzullo

A 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, Dante Alighieri, o Alighiero, battezzato come Durante di Alighiero degli Alighieri e noto con il solo nome Dante, nato tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 a Firenze e morto a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, prosegue l’appassionante viaggio dello scrittore e giornalista Aldo Cazzullo sulle orme del “poeta che inventò l’Italia”. Dopo il libro “A riveder le stelle” (Mondadori 2020), dedicato all’Inferno dantesco, l’autore racconta il Purgatorio ne “Il posto degli uomini. Dante in Purgatorio dove andremo tutti” (Mondadori 2021, Collana “Strade blu”, pp. 288, 18 euro).

Abbiamo intervistato Aldo Cazzullo, inviato e editorialista del quotidiano “Corriere della Sera”, dove cura la pagina delle Lettere. 

“Siamo tutti d’accordo: i nostri nemici finiranno all’Inferno; le nostre mamme sono, o andranno – il più tardi possibile –, in Paradiso; ma a noi un po’ di Purgatorio non lo leva nessuno”.

È vero che l’esistenza del Purgatorio venne stabilita dalla Chiesa solo nel 1274?

«Esatto, quando Dante aveva appena 9 anni. È vero che i Padri della Chiesa già si erano posti il problema di dove finisse la maggioranza degli uomini che non sono abbastanza buoni per il Paradiso ma neanche abbastanza cattivi per l’Inferno, però non avevano stabilito l’esistenza del Purgatorio. Non solo. Quando poi venne stabilita l’esistenza del Purgatorio, nessuno sapeva dove fosse e come fosse fatto. Dante inventò il Purgatorio, e questo muoversi nel nulla e nel vuoto esaltò al massimo grado la sua arte e la sua via. Dante immagina che il Purgatorio sia sulla terra, agli antipodi di Gerusalemme, che sia una montagna alta fino al cielo, suddivisa in sette gradoni, in ognuno dei quali è punito un peccato capitale, il più grave, la superbia. Dante pensa di finire lì, tra i superbi, costretti a camminare curvi sotto il peso di enormi macigni. Poi ci sono gli invidiosi con gli occhi cuciti da un fil di ferro, gli iracondi immersi nel fumo dell’ira. Poi ci sono gli accidiosi, gli avari, i golosi e i lussuriosi che sono puniti meno severamente. Il peccato d’amore è quello in cui Dante è più indulgente».

Se l’Inferno è buio e il Paradiso è luminoso, qual è l’atmosfera che permea il Purgatorio? 

«Il Purgatorio è un posto stupendo. Il Purgatorio è come la vita: alterna momenti di speranza a momenti di dolore. È come una giornata estiva dove si alternano temporali e arcobaleni. È l’unico Regno in cui esiste il tempo, solo che nella vita il tempo avvicina alla morte, nel Purgatorio il tempo avvicina alla salvezza, alla beatitudine, a Beatrice, la quale non a caso attende Dante vicino alla montagna del Purgatorio, nel giardino dell’Eden. Il Purgatorio è il regno del “quasi”, dell’attesa della felicità che in sé è una forma di felicità».

Il Purgatorio è il mondo dell’amicizia, della mitezza, della cortesia, dove ci si sorride. Sono tutti valori che soprattutto in questi tempi temiamo di avere perduto? 

«Penso che il degrado dei rapporti umani sia la nostra maledizione, il segno più doloroso del nostro tempo, perché il bello di essere uomini e di essere italiani, è il calore umano, la relazione tra le persone. Qui sembra che la cortesia sia diventata un orpello spagnolesco e che la buona educazione sia un lusso, una debolezza. No, invece dobbiamo recuperare questo rispetto, questo calore. Dante lo mette in scena, infatti le anime tra di loro si chiamano “frate”, fratello. Non si gridano addosso come all’Inferno, si trattano con cortesia».

Tra i personaggi principali del Purgatorio Pia de’ Tolomei (“Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma”). Ce ne vuole parlare? 

«Pia de’ Tolomei entra in scena per soli sei versi e tutto quello che sappiamo di lei è in questi sei versi. “Deh, quando tu sarai tornato al mondo, e riposato de la lunga via, seguitò ‘l terzo spirito al secondo, Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma”. Pia, l’unico personaggio in tutta la “Divina Commedia” che si preoccupa per Dante, che pensa al dolore, alla fatica di un uomo vivo che viaggia nell’Oltretomba. È stato il consorte ad uccidere Pia, proprio come Francesca da Rimini, entrambe uccise da un marito geloso. Dante manda gli uomini che fanno male alle donne nella Caina, il posto più brutto di tutto l’Inferno, dove sono puniti i traditori dei parenti. Aggiungo che è giusto che sia così, siamo noi uomini che dobbiamo cambiare e fare cambiare i violenti».

“A rivedere le stelle” è anche un racconto teatrale sul più grande poeta della storia dell’umanità e sulla sua opera più famosa che ha due guide: Lei e il fiorentino Piero Pelù. Vi aspettavate un così grande riscontro di pubblico? 

«Lo speravamo, in fondo gli italiani sono più legati all’Italia di quello che amano riconoscere e Dante è l’inventore dell’Italia. Dante ci ha dato una lingua, l’italiano, e ci ha dato un’idea di noi stessi. Ci ha insegnato a pensare all’Italia, è  il primo a parlare di Italia, è stato l’Alighieri a inventare l’espressione “Belpaese”. Quindi Dante ci riguarda, in quanto esseri umani e in quanto italiani, ci appartiene, fino all’incipit della “Divina Commedia”: “Nel mezzo del cammin di nostra vita…”, dove la parola chiave è nostra, Dante ci dice subito che sta parlando di noi»

Proprio nel Purgatorio vi è la famosa invettiva civile: “Ahi, serva Italia, di dolore ostello/ nave senza nocchiere in gran tempesta/ non donna di provincie, ma bordello…”. Versi di una straordinaria attualità, parole amare che celano un grande amore e una grande speranza per i suoi compatrioti? 

«Dante è indignato con l’Italia e con gli italiani, perché dice che sono troppo divisi tra loro. Allo stesso tempo questa invettiva contiene in sé un grande desiderio di riscatto. Sono versi che sono stati letti nel corso dei secoli con grande emozione, in particolare durante il Risorgimento. Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini adoravano Dante e Giosuè Carducci ha scritto che quando leggevano questi versi le mani dei patrioti cercavano la carabina, per combattere gli austriaci e cacciarli dal territorio italico».

Scrive nel volume che la pandemia è stata il nostro Purgatorio da vivi, perché ha misurato la nostra forza morale e la nostra capacità di resistenza. È anche per questo che la “Divina Commedia”, come tutti i grandi libri, ci parla pure del nostro tempo, del nostro presente? 

«Sì, come in tutti i grandi libri, nella “Divina Commedia”, ciascuno di noi può trovare echi di sé stesso e della sua storia. Abbiamo vissuto un Purgatorio in terra, perché abbiamo sofferto, non potevamo uscire di casa, abbiamo perso delle persone care. Il Purgatorio è la ricetta della libertà: “Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”, dice Virgilio a Catone Uticense, (custode dell’accesso al monte del Purgatorio) per presentargli Dante in quanto cercatore di libertà. Il Purgatorio è la conquista della libertà. Noi abbiamo vissuto due anni difficili, non è finita, il peggio è dietro le spalle. La libertà di Dante non è ciò che si vuole fare, ma voler fare ciò che si deve fare. Quindi rispettare le regole, rispettare gli altri e conquistare la propria libertà dalla paura e dalla morte»