La guerra vista con gli occhi di un bambino. Memorie che aiutano a leggere il presente

È il quaderno di un bambino “Ho visto un bellissimo picchio”, scritto nel 1939 da Michal Skibinski e ora pubblicato con le illustrazioni di Ala Bankroft (Einaudi ragazzi). L’autore è ancora vivo: quando scrisse questi appunti aveva otto anni e viveva a Mokotòw, un quartiere di Varsavia, in Polonia.

Il suo diario nasce come esercizio per migliorare l’ortografia durante una vacanza estiva che trascorre con il fratello e la governante ad Anin, vicino alla capitale.

Questa prima parte dei suoi scritti è intrisa di spensieratezza: ci sono gli alberi, i prati, bruchi, vespe, mongolfiere, alianti e”un bellissimo picchio”. La realtà quotidiana osservata con gioia, annotando tutto ciò che può saltare agli occhi di un bambino di otto anni durante una vacanza in campagna. L’illustratrice sottolinea questo stato d’animo con colori brillanti e pastosi accenti pittorici.

Michal giocava con il fratello, andava a prendere il gelato, si divertiva a osservare la natura e il cielo, annotava piccole cose come i temporali.

La seconda parte ha un tono completamente diverso: nonostante Michal sia solo un bambino percepisce le inquietudini degli adulti. Viene affidato alla nonna, si trasferisce a Milanowek, a sud-ovest della capitale polacca. Man mano che il fronte dei combattimenti con i tedeschi avanza, nelle battaglie che daranno inizio alla Seconda Guerra Mondiale, l’atmosfera diventa più cupa. “Schegge di granata sono volate sulla nostra casa” scrive Michal. “Gli aerei volano senza sosta” e su uno di essi c’è anche il padre, che morirà in azione.

Questo testo è di una bellezza asciutta, con una carica fortissima di poesia e di emozione. La sua potenza sta nella sua semplicità, perché qualunque lettore – bambino o adulto – può identificarsi in questa storia. La memoria qui parte dal cuore, da questo moto dalla luce al buio che chiunque di noi prima o poi sperimenta nella vita, nelle vicende piccole, quotidiane, o in quelle della storia.

Averne memoria aiuta a farne tesoro, a far sì che possano contribuire a una crescita non singolare ma collettiva, che diventi nel tempo non solo curiosità storica, ma consapevolezza, responsabilità, edificazione di nuovi legami e di una società più giusta, capace di sorvegliare sui diritti di tutti. Mai come oggi questo appello a una “memoria di comunità” – priva di strumentalizzazioni e manipolazioni – sembra delicato e attuale.

Michal è diventato un prete e ha ritrovato quel quaderno solo nel 1974, dopo la morte della madre. Lo ha donato a suo nipote ed è stato lui a pensare di trasformarlo in un libro, che è uscito per la prima volta nel 2019, con una strana coincidenza di tempi, proprio alla vigilia della pandemia. È stato tradotto in tutto il mondo e ha vinto premi prestigiosi. Le illustrazioni ne fanno affiorare le sfumature, e mostrano nei fatti ciò che scrive il poeta polacco Czeslaw Milosz: “si possono scrivere versi solo nella lingua dell’infanzia”.

Skibinski è entrato in seminario all’inizio delle scuole superiori, e dopo essere stato ordinato sacerdote dal 1958 si è specializzato nell’attività pastorale accanto a persone sorde, usando la lingua dei segni. Un’azione forte, innovativa e controcorrente in un periodo in cui ancora questo linguaggio non era diffuso né accettato socialmente.

Non si è mai sentito limitato dall’idea di portare avanti la propria missione in un paese comunista: “se qualche militare mi interrogava – dice in un’intervista al quotidiano spagnolo “El Pais” – sapevo cosa rispondere: mi interessa la religione, non la politica”. Nel suo cuore ha continuato a coltivare la meraviglia e la speranza di quando era un bambino che amava guardare il cielo.