“Piedi nudi e dinosauri”: storie di bambini atipici. Cosa vuol dire crescere con la sindrome di Asperger

piedi nudi e dinosauri

Il 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo, per ricordare i diritti delle persone che hanno a che fare con disturbi che rientrano nello spettro autistico e porre l’attenzione sulla necessità di politiche sanitarie, educative e sociali che migliorino servizi e risorse a supporto delle famiglie.

Anche un libro può essere utile per far conoscere meglio le caratterostiche della Sindrome di Asperger, disturbo pervasivo dello sviluppo, annoverato fra quelli dello spettro acustico. 

Stiamo parlando di Piedi nudi e dinosauri. Storie Asperger per tutti i bambini e le bambine(Edizioni Centro Studi Erickson 2022, illustrazioni di Massimo Alfaioli, Postfazione di Paolo Cornaglia Ferraris, pp. 104, 14,50 euro) scritto a quattro mani dalla formatrice, traduttrice scientifica e divulgatrice Chiara Mangione e dallo scrittore e musicista Biagio Biagini, per piccoli e grandi lettori, che contiene una raccolta di istantanee, immagini di sensazioni, sentimenti e pensieri, piccole storie dedicate al mondo Asperger.

Ne parliamo con Chiara Mangione, formatore in ambito psicologico clinico, counselor che progetta e guida gruppi di formazione all’autoconsapevolezza per adulti con sindrome di Asperger, e ha tradotto alcuni dei più importanti titoli divulgativi del settore, oltre a occuparsi di percezione culturale dell’autismo e del tema dell’identità nei disturbi dello spettro autistico.

  • Il volume nasce dal concetto che crescere e conoscersi, scoprire il mondo e farsi capire non è semplice per tutti allo stesso modo? 

«Sì, questo è stato uno dei concetti chiave che ci hanno guidato nella scrittura. La motivazione principale è stata verificare su base quotidiana nel mio lavoro quanto è difficile comunicare una condizione dello spettro autistico in un adulto, anche se il libro è per bambini. Da qui sono partiti una serie di ragionamenti e anche di confronti con il coautore (Biagio Biagini è mio marito) proprio sulla questione di come fare a trovare un linguaggio che fosse adatto a comunicare esperienze, che sono realmente atipiche. Quando una esperienza è atipica il linguaggio quotidiano non contiene di solito delle parole “pronte” a rendere l’idea di queste esperienze. Siamo noi che ci confrontiamo parola per parola con quelle che abbiamo, appunto, a disposizione, provando a usarle in un modo che sappia comunicare qualcosa di atipico, insolito». 

  • È vero che gli stereotipi e le idee che oggi circolano sull’autismo spesso non assomigliano alla vita reale delle persone autistiche? 

«Nella mia esperienza assolutamente sì, lo dico come persona nello spettro, che ha ricevuto la diagnosi da adulto. I criteri diagnostici sono cambiati da una decina di anni, è naturale che la letteratura ci metta un lustro a mettere il passo e ad ampliare sufficientemente lo sguardo per includere esperienze di vita che sono particolari. Per esempio le bambine che hanno caratteristiche peculiari e una tendenza a integrarsi tutta speciale sono ancora sotto rappresentate sia nella letteratura sia nelle idee che comunemente circolano sull’autismo, sia negli stereotipi. Nello spettro autistico le caratteristiche delle persone si mescolano in un modo talmente diversificato e particolare che anche per il professionista ferrato può essere difficile cogliere alcuni di questi aspetti. È sempre utile, dalla cultura popolare alla professione più specialistica coltivare un atteggiamento rispettoso, curioso e nello stesso tempo, fare tutto il possibile affinché si diffondano informazioni. Gli stereotipi sono una delle scorciatoie che usiamo per utilità, ma che ci servono a convivere e a imparare a gestire la nostra vita sociale. D’altra parte se noi aiutiamo a immettere nel patrimonio linguistico una ricchezza sempre maggiore saremo sempre più capaci di conoscere cose che non conosciamo ancora, cioè di non dare agli stereotipi quel  po’ di potere in più che viene anche dall’ignoranza sulla realtà delle cose. Mi batto per la singola parola, perché è importante».

  • Nella Prefazione del testo riferendosi ai bambini autistici li definisce “bambini atipici”. In questo caso, che cosa significa “atipicità”? 

«Parlo di un certo tipo di autismo, di cui ritengo essere qualificata a esprimermi, che è quello che oggi chiamiamo autismo lieve, di livello uno o due che era la vecchia Sindrome di Asperger. In questo caso la parla “atipicità”, viene usata come termine neutro, significa avere una serie di esperienze a volte non semplici da comunicare, che sono diverse da quelle della norma intesa proprio come concetto statistico, cioè una questione di quantità. Per esempio se io bambina vengo toccata sulla pelle e sento dolore e so che questo non accade per gli altri bambini, mi trovo con una questione da gestire. A seconda del mio temperamento, della mia educazione e del contesto in cui mi trovo, imboccherò delle strade diverse. Se sono in un ambiente accogliente, sarò in una situazione favorevole e forse sarò aiutata a difendere le mie istanze, la mia atipicità». 

  • Le persone Asperger spesso hanno un livello intellettivo superiore alla media, vogliono comunicare con gli altri ma non sapendo come farlo finiscono per isolarsi. Quanto è importante una diagnosi precoce? 

«È fondamentale. Come è fondamentale l’aiuto della scuola, “un occhio educato” che riconosca certe caratteristiche, perché riconoscerle vuol dire imparare fin da piccoli a capirle anche in se stessi. Chi le capisce da piccolo impara a comunicarle e tende a non ammalarsi. I bambini nello spettro non imparano naturalmente una serie di questioni tipo, come capire e attribuire etichette corrette a quello che stanno sentendo. Posso sentire fortissimo una cosa ma non so cosa sia, questo richiede un’educazione, cioè imparare a dare un’etichetta a quello che sento e quindi a non spaventarmi. Oppure non imparo le regole sociali per osmosi come tutti gli altri, quelle mi devono essere insegnate. In molte esperienze cognitive i bambini Asperger sono fortissimi, in altre no, le devono imparare. Se non le imparano soprattutto quando non si trovano in un ambiente favorevole, diventano come quegli adulti di cui mi occupo io. È come se avessero giocato a ping-pong tutta la vita con una benda sugli occhi. È come giocare senza conoscere le regole del gioco o come non avere il libretto delle istruzioni».

  • Qualche anno fa Le è stata diagnosticata la Sindrome di Asperger. Desidera raccontare la Sua esperienza? 

«Da sempre mi interesso di tematiche psicologiche, ho sempre sentito un’affinità sulla questione dell’autismo. Sono una persona, come accade a chi è nello spettro, che ha avuto dei brevi momenti clinici, per esempio ho sofferto di severi attacchi di panico, e non mi sono mai spiegata bene perché questo succedesse. Ho cercato una diagnosi, perché per me è stato fondamentale affermare una mia atipicità, che è come dire: “Anch’io ho le mie particolarità e fragilità che ora voglio custodire e proteggere”. Io me lo sono cavata, anche attraversando percorsi dolorosi, ecco perché ora voglio aiutare gli altri. Questo è stato il valore della diagnosi che a me ha cambiato la vita, è stata una rivoluzione copernicana, un cambio di prospettiva che mi ha dato una soluzione a tutto ciò che prima non capivo, non sono una sciocca, intuivo che qualcosa non andava. Adesso ho imparato a proteggermi».

  • Fra pochi giorni si celebrerà la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo. A che punto sono nel nostro Paese le politiche sanitarie, educative e sociali a supporto delle famiglie con bambini Asperger, considerato anche la pandemia? 

«Non sono ferrata sulla questione delle politiche, la pandemia è stata ed è complessa, se sono un bambino che devo imparare a socializzare, se non posso farlo per due anni abbondanti poi devo ricominciare da capo. Questo è accaduto a tutti i bambini Asperger. Nello spettro c’è questa atipicità: stare da soli per un bambino Asperger può essere anche un momento rigenerante, stare da solo per occuparmi di ciò che mi interessa è un po’ quello che per gli altri bambini è uscire con gli amici e divertirsi. Questo appunto è atipico e va custodito e protetto. Detto questo, bisogna però insegnare ai bambini Asperger a socializzare, e per due anni c’è stata una battuta d’arresto. Ripeto, non sono ferrata sulle politiche, noto però che dell’autismo se ne parla di più, la situazione è complessa perché i bambini Asperger spesso sono bambini che non hanno una disabilità. Le politiche devono cambiare la cultura, dal mio osservatorio vedo che ci vorrà ancora tanto tempo, per esempio, il 99% degli insegnanti di sostegno non ha le conoscenze di base per trattare un bambino nello spettro. In questi anni ho visto che chi lavora per cambiare le politiche ha imparato a parlarsi, noto che c’è dialogo tra chi si occupa di autismi diversi, autismi gravi, con disabilità, che è un mondo completamente diverso da quello dell’Asperger. Questo mi fa pensare che stiamo facendo dei passi in avanti».