Diario di viaggio in Eritrea sulle tracce del vescovo missionario Luca Milesi: cena alla casa dei poveri

Continuiamo la pubblicazione del “diario di viaggio” di Wanda Taufer sulle tracce del vescovo missionario Luca Milesi. Trovi le puntate precedenti qui, in cui raccontiamo una visita alla capitale Asmara e qui.

Cena alla Casa dei poveri

Sulla tavola una zuppiera piena di minestrone con peperoni verdi, un’altra zuppiera di spaghetti da condire con sugo di pomodoro o con lo zighinì (cipolle, pomodoro con spezzatino con aggiunta di berberéuna mistura di peperoncino rosso e altre spezie). Questa pietanza, assai piccante, viene di solito distribuita sull’ingera, una focaccia spugnosa e acidula di farina di taff. Completano il pranzo verdure varie tra cui tante rape rosse e ravanelli grossi come patate. 

Mangiamo di buona lena, assieme a monsignor Luca che ci ha raggiunto, e ci scambiamo le prime impressioni sui luoghi appena visitati. Chiudiamo il pranzo con un’abbondante porzione di frutta: banane, mango e arance e quindi, nel salottino sperimentiamo la cerimonia locale del caffè. Una ragazza sistema vicino alla finestra un fornellino a carbonella e un tavolino su cui ha poggiato le tazzine in porcellana. Per terra, davanti al tavolino, colloca un mazzo di fiori, quindi tosta il caffè sulla brace del fornello e passa tra di noi per farcene odorare il profumo che attiriamo alle narici con le mani. 

Il caffè tostato viene quindi messo in un mortaio e pestato fino a essere ridotto in polvere e poi messo in un recipiente di terracotta, il gebenà, vi aggiunge acqua e pezzi di radice di zenzero e lo fa bollire, attizzando la brace con un ventaglio di rafia. Poco dopo il caffè comincia a gorgogliare e la ragazza toglie il gebenà dal fuoco, versando la bevanda nelle tazzine.

Ne gustiamo l’aroma forte e caldo, ben più deciso di quello che siamo abituati a casa nostra. La cerimonia del caffè prosegue ancora per un po’: la ragazza ci distribuisce pop corn e biscotti, poi aggiunge altra acqua nel gebenà e così il caffè diviene più leggero. Solitamente tali aggiunte si ripetono per più volte e così la bevanda diventa via via più leggera.

Aragù, che è seduta accanto a noi, ci osserva in silenzio e sorride ascoltando i nostri commenti divertiti.

Monsignor Luca è sereno come sempre e dialoga con don Giuseppe sulle comunità senza sacerdote. Dice che i Cunama sono molto aperti al senso religioso. Hanno ricevuto il primo annuncio del Vangelo negli anni Venti, però in seguito, per le varie guerre e per la mancanza di missionari, la fede è andata smarrita. Di fronte a questa situazione il futuro sarà necessariamente nelle mani dei laici: catechisti, sorelle e fratelli consacrati.

Il discorso cade poi su argomenti meno impegnati: il vescovo sfoglia il libro dei Racconti popolari brembani che gli ho portato in dono e divertito legge la filastrocca dialettale del Piero lelo. Quindi recita un antico scioglilingua bergamasco che nessuno di noi conosce: Chel om che l’ dà chelpoc che l’ gà, che l’ dìs chel poc che l’ sà, che l’ fa chel poc che l’ pöl l’è ün òm de rispetà.

Complimenti a monsignore che ricorda ancora bene il diletto bergamasco dopo cinquant’anni in terra d’Africa!

Andiamo nelle nostre camere per una piccola siesta, poi con Jemané torniamo nel centro dell’Asmara per incontrare due comunità maschili e femminili di laici consacrati fondate da monsignor Luca.

In una, chiamata “Casa famiglia”, conosciamo tanti bambini orfani, i più grandicelli tengono in braccio quelli più piccoli. Vediamo una bimba che poi ritroveremo la sera nella “Casa dei poveri” e una ragazza di nome Lemlem, priva di gambee di un braccio a causa dello scoppio di una mina. La visita mi riempie di tristezza, tuttavia non posso fare a meno di notare che queste creature sfortunate hanno i visi sorridenti e ci salutano con le loro manine.

Risaliamo sul fuoristrada e raggiungiamo la comunità di Jemané, chiamata “Casa Paradiso”, situata all’imbocco della rotabile per Keren, all’estremo nord ovest della città. Si tratta di una comunità di laici consacrati, dediti all’allevamento. Jemané ci dice che in quel momento il loro patrimonio di bestiame è costituito da sessanta bovini, e da un numero imprecisato di galline.

Fuori dalla comunità notiamo un andirivieni di donne, venute per acquistare il latte con pentolini e bidoncini di plastica.

Ci vengono presentati due giovani consacrati, che al momento sono in servizio militare e sono tornati in comunità per alcuni giorni di licenza. Ci accolgono con cordialità e ci offrono latte e biscotti.

Dai loro discorsi, che ci vengono tradotti da Jemané, capiamo quanto sia difficile la loro scelta di vita, dal momento che in caserma devono tenere nascosto il loro stato di consacrati.

Attigua alla “Casa Paradiso” c’è la chiesa di San Giuseppe degli eroi, un suggestivo tempio costruito tra il 1940 e il 1944 e dedicato alla memoria dei caduti in Africa orientale. Ci dicono che bisognerebbe avvertire il governo italiano che il tempio ha urgente bisogno di restauri.

(continua)