Essere preti oggi: un mestiere impossibile? Le “istruzioni per l’uso” di don Salvatore Rindone

Una serie di “Istruzioni per l’uso di un mestiere impossibile”, quello del prete, oggi scelto da pochi, ma sempre necessario. Le ha scritte don Salvatore Rindone nel volume “Papà mi faccio prete!” (Il Pozzo di Giacobbe 2023, Collana “Respiro”, Prefazione di Andrea Grillo, pp. 176, 17,00 euro). 

La copertina del volume

L’autore ci restituisce in queste pagine redatte con arguzia e autoironia il volto più umano e fragile del prete di oggi, ma forse proprio per questo anche quello più credibile, perché più simile al mistero fragile di Dio. 

Abbiamo dialogato con don Salvatore, nato nel 1987, docente di filosofia presso lo Studio Teologico san Paolo di Catania e la Pontifica Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo, che nel 2016 ha conseguito il dottorato di ricerca a Roma, dove anche insegna in qualità di docente invitato.

– Don Salvo, da poco più di 10 anni, esercita questo “mestiere impossibile” nella diocesi di Piazza Armerina, prima come vicario parrocchiale e poi come direttore spirituale del seminario. Qual è la Sua esperienza? 

«Sento profondamente la gioia di essere prete, ma talvolta questo è un “mestiere” impossibile. Il segreto è esercitare questo ministero mettendo a nudo le proprie fragilità. La nostra è un’esperienza concreta, che viviamo quotidianamente nelle parrocchie. Non mi sono mai pentito di essere diventato prete. In realtà da ragazzo non avevo mai immaginato che sarei diventato prete! Ero interessato alle materie scientifiche, da piccolo volevo fare lo scienziato, poi da ragazzino il medico. Dopo la Cresima sono ritornato in parrocchia, lì ho incontrato dei preti “santi”, mi hanno avvicinato dalla fede alla vocazione, che dapprima ho rifiutato ma dopo accolto come un dono grandioso. È un dono di Dio, il Signore me l’ha donato». 

– Il volume, diviso in ventuno brevi capitoli, è una specie di piccola teologia del ministero presbiteriale? 

«In qualche modo sì, come ha sottolineato nella Prefazione il Prof Grillo che ringrazio. Il libro non ha nessuna pretesa di esaustività e non vuol dare ordini a nessuno, vuole essere un aiuto per tutti quei preti giovani, che sono appena usciti dal seminario. È anche una sorta di incoraggiamento per loro, affinché ricerchino la felicità nel loro ministero».

– “Quanti sospiri rassegnati per la scelta di un figlio che entra in seminario”. Quali consigli dare ai genitori? 

«Innanzitutto bisognerebbe vedere oggi quanti ragazzi desiderano veramente intraprendere questo percorso… Qualora i genitori non sapessero come comportarsi davanti alla decisione del figlio di entrare in seminario, il consiglio che posso dare loro è molto semplice: devono lasciare il proprio figlio libero di fare le sue scelte. Un genitore realizza la propria missione genitoriale quando finalmente il figlio può fare a meno di lui. Il figlio dirà in tal modo ai genitori: “Grazie, con la vostra educazione e insegnamento mi avete reso autonomo”. Si realizzerà così il progetto di Dio per quella vita che sta per prendere il volo. Cioè in questo caso diventare prete».

– Può accadere che un prete si innamori. Ma che fine fanno i preti che, dopo essersi innamorati, hanno lasciato il ministero? 

«Ci sono alcuni testi interessanti, che raccolgono le testimonianze di preti, che hanno lasciato il ministero. Alcuni di loro sono addirittura tornati. Qualche seminarista, che studiava insieme a me ha abbandonato il seminario, perché si era innamorato ed è tornato per sempre alla vita di prima. Questa esperienza dell’innamoramento talvolta è necessaria, perché quando un prete si innamora ha l’opportunità di chiedere a se stesso: “Chi sono?”, “Mi trovo nel posto giusto?”, “Ne vale la pena?”. Durante la formazione può accadere che si dimentichino le proprie emozioni: innamorarsi rivela il cuore dell’uomo che batte sotto la tonaca, significa che c’è un corpo che chiede l’attenzione di un’altra persona e c’è una mente che non  sempre ha il controllo su tutto. In poche parole, ci si scopre uomini e questo può solo fare bene. Imparare inoltre a chiedere aiuto, questo è anche importante». 

– È un buon tempo per essere preti oggi, ma soprattutto, ne abbiamo davvero ancora bisogno?

«D’istinto direi di no, alla luce di tanti fatti di cronaca che riguardano il clero. Ma forse non c’è mai stato un tempo di essere buoni preti. Chiamo i preti “santi” tutti quei sacerdoti, e sono tanti, che si prodigano ogni giorno nelle parrocchie, nelle famiglie, tra i parrocchiani, nel quartiere e nelle strade. È sempre un buon tempo per dare l’amore che riceviamo da Dio. Quindi sì, la società ha ancora bisogno della missione dei preti, ma solo ovviamente di quelli “santi”, che sono veramente “interpreti” del messaggio di Dio. C’è da dire che, grazie a Dio, di alcuni modelli di prete non ne abbiamo più bisogno». 

– Quella che chiamiamo crisi di vocazioni è veramente tale, oppure è una crisi della fede? 

«La crisi è generale, molti giovani non sanno che strada intraprendere, come indirizzare il proprio futuro. Vanno a tentativi nella ricerca di una Facoltà adatta a loro. Spesso i ragazzi non sanno quale sia il loro posto nel mondo. La vocazione nasce sempre dalla fede, non accade mai il contrario. Quando va in crisi la vocazione, la fede l’aiuta a ritrovarla.  Quando va in crisi la vocazione ma non c’è la fede, è chiaro che si rischia di perdere tutto».