“Cavalcare l’onda del cambiamento”, costruendo opportunità. Intervista a Claudette Portelli

“Non c’è nulla di immutabile tranne l’esigenza di cambiare”, sosteneva il filosofo greco Eraclito di Efeso (535 a. C. – 475 a. C.). Ma da che mondo è mondo a noi esseri umani impauriti e stanchi il cambiamento fa paura. Pensiamo al passaggio dal vecchio al nuovo anno, sappiamo cosa lasciamo ma non cosa troveremo nel futuro. E questo ci spaventa, ma il cambiamento è inevitabile.
Nel volume “Cavalcare l’onda del cambiamento” (Edizioni San Paolo 2023, Prefazione di Giorgio Nardone, 301 pp., 20,00 euro) scritto a quattro mani da Matteo Papantuono e Claudette Portelli, gli autori, entrambi psicoterapeuti, indicano al lettore “Come costruire opportunità degli eventi desiderati e subiti”, come recita il sottotitolo del testo. Per comprendere come  visualizzare e cavalcare i cambiamenti che inondano la vita, a prescindere dall’essere desiderati, temuti o subiti, abbiamo intervistato la Professoressa Claudette Portelli psicologa e psicoterapeuta, direttrice di The OCD Clinic (Malta) e The Coaching Clinic (Malta), docente all’Università di Malta e visiting lecturer in varie università in diversi Paesi dell’UE e non, Docente e ricercatrice presso la Scuola di Specializzazione di Terapia Breve Strategica (Italia) del prof. Giorgio Nardone e nelle varie sedi affiliate in tutto il mondo.


La vita appartiene a coloro che vivono, e coloro che vivono devono essere preparati per i cambiamenti”.

Johann Wolfgang von Goethe

  • I grandi cambiamenti iniziano sempre da un primo piccolo cambiamento?
    «Dovrebbe essere così. L’uomo vorrebbe dei cambiamenti immediati, però a volte rischiano di essere catastrofici. Napoleone diceva: “Siccome devo andare di fretta, vado piano”. L’unica volta che il Bonaparte non è andato piano, è stato perché non ha calcolato un piccolo dettaglio, cioè il freddo gelido della Russia. E fu l’inizio della sua fine. Perciò sì, i cambiamenti dovrebbero essere dosati, fatti a piccoli step, anche perché poi ogni step ci informa se andare avanti in quella direzione o se dobbiamo cambiare. È più probabile che così riusciamo ad attuare quel cambiamento».

  • Viviamo in un’epoca in cui il cambiamento, più che in altri momenti storici, è rapido e
    intenso?

    «Il cambiamento è stato sempre inconstante. Ora viviamo in un’epoca che grazie alla tecnologia, alla medicina, alla globalizzazione i cambiamenti sono continui e rapidi. Certe volte non c’è nemmeno il modo di accorgersene. Esistono i cambiamenti desiderati dall’uomo, perché vuole migliorarsi ed esistono anche quelli subiti, pensiamo alla pandemia. Nel 2020 non eravamo pronti, non eravamo attrezzati. In questo caso, giocoforza, abbiamo dovuto tutti insieme cavalcare l’onda. Per riuscire a cavalcare la cresta dell’onda del cambiamento sono necessarie flessibilità e prontezza, versatilità e differenziazione, capacità di previsione e adattamento».

  • Perché l’essere umano cerca di resistere al cambiamento anche quando ne riconosce la necessità?
    «Perché l’essere umano tende a preferire quello che conosce a quello che non conosce, anche se quello che conosce lo fa star male. Lo vediamo anche nel contesto clinico, persone depresse che in realtà continuano a vivere male, perché non hanno il coraggio di cambiare. Pensiamo alle coppie che non vanno d’accordo ma preferiscono rimanere insieme. Ci sono tante tipologie di resistenza al cambiamento, come la paura dell’ignoto, infatti non dobbiamo sottovalutare l’aspetto emotivo. C’è chi si oppone in maniera aggressiva e violenta al cambiamento, perché quest’ultimo lo porta lontano dalla sua comfort zone».

  • Come educare una persona al cambiamento?
    «Prima di tutto dobbiamo educare la persona a non aver paura del cambiamento, perché è una costante, se viene visto come un ostacolo ovvio che viene vissuto male. Se invece viene vissuto come una opportunità, allora rappresenta un miglioramento e non uno stallo. “Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla”. Questo aforisma di Lao Tsé filosofo e scrittore cinese antico del VI secolo a. C. che mi piace molto, vuole significare che il cambiamento può anche essere vissuto come una rinascita. Inoltre c’è da dire che l’essere umano tende molto a pensare, invece dovrebbe agire. Quindi il cambiamento dovrebbe essere messo in pratica, chi pensa tanto, agisce poco. Agire per capire, dunque credere nel cambiamento. Ricordarsi infine di trarre esperienza dalle precedenti esperienze».

  • Nel nostro sistema completamente interconnesso e globalizzato, i cambiamenti prorompenti e rapidi richiedono opportuni e continui adattamenti, altrimenti si patisce o, peggio, si rischia l’“estinzione”. Può farcene un esempio?
    «Sopravvive chi riesce a adattarsi ai cambiamenti riuscendo a cavalcarli, altrimenti si rischia l’estinzione. Un siciliano si trasferì a Malta per aprire una pasticceria di dolci tipici della sua terra proprio prima della pandemia. L’uomo stava andando in bancarotta quando ebbe l’idea di vendere i cannoli siciliani e i biscotti di mandorle andando casa per casa. Fu un successo».

  • Che consiglio si sente di dare a chi viene preso dall’ansia, perché un nuovo anno carico di incognite è appena iniziato?
    «L’ansia viene dall’anticipare troppo. Come ripeto ai pazienti, evitiamo di guardare il futuro con gli occhi del presente, perché ci spaventiamo se vediamo tutto insieme. Anche in questo caso andiamo a piccoli passi, se vediamo la montagna tutta insieme, ci mettiamo paura, se invece abbiamo una visione un po’ più corta, più immediata, l’ansia va via. A inizio anno, tutti vogliamo fare dei cambiamenti, consiglio di farli a piccoli step, diamoci degli obiettivi possibili, concreti. Se ci riusciamo, si innesca “l’effetto farfalla” di cui parlavo prima. Al contrario, se ci diamo degli obiettivi troppo grandi rischiamo il fallimento».