Divento prete

La prima parte dell’intervista è stata pubblicata sul numero della settimana scorsa. Riguardava i ricordi familiari, i primi anni di scuola, le amicizie. 

GLI STUDI DI MUSICA. IL SEMINARIO

Lei ha fatto studi di musica. Quali studi precisamente e quali sono stati i motivi di questa scelta? A un certo punto, ha dovuto scegliere fra la musica e la teologia? Se così è stato, le è costato?

Lo studio della musica è stata una scelta educativa dei miei genitori. Volevano che impiegassimo bene tutto il nostro tempo. Così è stato per me e così per tutti i miei fratelli. Io ho studiato il violino: dieci anni di lavoro duro, impegnativo, soprattutto i primi, occupati da uno studio tecnico della musica e dei suoi meccanismi. Nella seconda parte lo studio è diventato decisamente più attraente. Dalla scuola nasce l’impegno continuo e assorbente attorno alla musica: molte prove, molta pratica e, poi, molti concerti. Volevamo portare musica classica a tutti, ci sentivamo gli apostoli della bella musica. Quell’esperienza, per me, ha significato anche l’apprendimento del lavorare insieme. Anche per questo oggi non suono più: suonare da solo per me non ha senso. Quando sono diventato prete ho dovuto scegliere: i tempi della musica si sovrapponevano a quelli delle attività pastorali. Ho scelto senza rimpianti. L’avventura del prete è diventata semplicemente più avvincente dell’avventura della musica. Ma alla musica devo comunque molto. La tendenza a ascoltare e il lavoro insieme mi vengono da lì. L’attenzione ai particolari anche. Se sbaglio una parola in un discorso, posso correggermi. Una nota sbagliata in un concerto resta sbagliata: non si può rifare il concerto.

Lei ha frequentato la teologia negli anni del dopo Concilio. Il Concilio e i suoi fermenti, che cosa avevano portato di particolare nel seminario di Brescia? Ci sono state anche lì, come altrove, tensioni, crisi e, se sì, in che modo l’hanno segnata?

Il conservatorio e il seminario erano due mondi connessi: in conservatorio trovavo fermenti che avevo la possibilità di rielaborare tornando in seminario. Ma anche in seminario c’erano fermenti, con alcuni momenti di sofferta contestazione. Riandando a quel tempo devo riconoscere la grande pazienza dei miei educatori che hanno saputo aspettare e tenere viva, in loro e in noi, una speranza. Voglio ricordare in particolare il mio padre spirituale: è ancora vivo ed è ancora oggi il mio padre spirituale. Se dovessi riassumere quella fase della mia storia personale dovrei dire che gli educatori di allora ci hanno aiutato a prenderci, sempre e seriamente, le nostre responsabilità.

I VESCOVI “BERGAMASCHI” MORSTABILINI E FORESTI

Che ruolo hanno avuto nel suo tragitto spirituale i vescovi bergamaschi, mons. Morstabilini e mons. Foresti?

Morstabilini è il vescovo che mi ha ordinato sacerdote. E’ stato anche il vescovo che, negli anni del mio tirocinio, ha vissuto in prima persona le tensioni di cui ho detto. Non abbiamo mai sentito Morstabilini e Foresti come “bergamaschi”, ma semplicemente come i nostri vescovi. Morstabilini accompagna poi i miei primi anni di prete e mi manda a fare il curato in parrocchia. Poi mi affida l’incarico di un progetto di pastorale giovanile nel cuore della città. Progetto interessante che ha portato buoni frutti, alcuni dei quali durano tuttora. Di Morstabilini devo ricordare, in maniera speciale, la visita pastorale alla diocesi. Visita indimenticabile, esemplare. Quella visita porta il Concilio in tutte le parrocchie e riceve le prime, inevitabili contestazioni. Morstabilini è riuscito, in un momento difficile, a evitare spaccature nella Chiesa. A conclusione della visita convoca un Sinodo che segna in maniera straordinaria la storia recente della Chiesa di Brescia. Inaugura la grande esperienza del centro Paolo VI che diventa una struttura pastorale importante nella diocesi .

Di Morstabilini ricordo soprattutto il momento tragico della strage di Piazza della Loggia. Quella strage, per Brescia, resta una ferita lacerante e ancora oggi non completamente rimarginata. In quella vicenda il piccolo uomo giganteggia in maniera ineguagliabile. Lo vedo ancora, in mezzo alla piazza urlante, che trasuda odio, mentre celebra la messa e prega. La sua omelia di quel giorno è stata e resta ancora un testo di grandiosa bellezza evangelica.

Foresti è il pastore segnato da un modo di fare e di dire di totale schiettezza: nessuna parola doppia, nessun retropensiero. Ma insieme Foresti è l’uomo capace di grande affetto. Verso di me quell’affetto dura ancora. E’ lui che mi affida i primi incarichi diocesani. Con lui si avvia di fatto quella che poi si chiamerà la nuova evangelizzazione. Inaugura il primo consultorio diocesano, come strumento operativo di pastorale familiare. Mi è rimasta un’immagine che Foresti ha usato in diverse circostanze: la Chiesa di Brescia, diceva, sta su un piano inclinato: sta, cioè, scivolando verso forme di scristianizzazione, ma lentamente, silenziosamente, senza accorgersene.

L’AMBIENTE CULTURALE BRESCIANO

Il dopo Concilio a Brescia ha significato anche un ambiente culturalmente molto vivo: quello de “La Scuola”, della Morcelliana con la rivista “Humanitas”, della Queriniana con le riviste “Servizio della Parola” e “Concilium”… Questi centri di elaborazione culturale hanno influenzato l’ambiente ecclesiastico e, in particolare, hanno influenzato lei e il seminario?

L’ambiente culturale bresciano è sempre stato segnato da una grande attenzione pedagogica che si concentra soprattutto sulla Editrice La Scuola e le sue iniziative editoriali. La Queriniana promuove pubblicazioni teologiche che hanno fatto da fermento a tutta una cultura italiana, con una capacità di avvertire filoni avanzati della teologia ben al di là dei confini italiani. Non vorrei nemmeno dimenticare la “piccola” Paideia con la sua linea biblico-teologica. Ho respirato tutto questo da giovane.

Lo stesso si potrebbe chiedere dei grandi nomi del laicato cattolico bresciano: a partire da Tovini, per passare a Montini… fino ad arrivare Camadini e Bazoli…

Esiste una originalità del movimento cattolico laicale a Brescia. Molto credente ma molto “dentro” la vita e la storia degli uomini. Esiste un filone, che risale fino a Tovini che è quello della presenza forte e significativa nella società e il filone della mediazione culturale. Sono due filoni che non si contrappongono ma si integrano e arrivano a sintesi che poi diventano punto di partenza per nuove sintesi. Montini è l’espressione più matura e più significativa della felice convivenza di quei due filoni laici della Chiesa bresciana.

L’ORDINAZIONE SACERDOTALE

Ci racconti il giorno della sua ordinazione sacerdotale e la prima messa nella sua parrocchia di sant’Anna.

Ricordi bellissimi. La mia ordinazione sacerdotale avviene, come ebbero a dire alcuni compagni, “inter betullas”. Il duomo era in ristrutturazione e la cerimonia per i trenta preti novelli che eravamo ha dovuto aver luogo all’aperto, su un gran prato verde – un po’ diverso da quello cantato da Gianni Morandi – al centro del seminario. Aveva piovuto fino a un’ora prima. Il nostro pissimo rettore era come Mosè con la mani alzate verso il cielo: aveva invocato il bel tempo che, poi, in effetti, è arrivato. Ricordo benissimo il mio stato d’animo di quel giorno: felice e rammaricato insieme. Felice di essere arrivato e rammaricato per essere arrivato. Ho sempre pensato, infatti, che la ricerca doveva essere una dimensione costitutiva della mia vita di prete. Avvertivo il pericolo che essere arrivato significasse non cercare più. Invece un orizzonte immenso mi si apriva davanti, un orizzonte che non ho ancora finito di esplorare neppure oggi. Dopo l’ordinazione sono tornato nella mia piccola parrocchia di periferia. Non eravamo in molti ma tutto era cordiale e sentito. Di speciale c’era che alla prima e seconda messa molti musicisti di Brescia erano presenti: ero il collega che diventava prete. Hanno suonato molto e hanno suonato di tutto. Erano presenti anche molti ferrovieri. Allora i ferrovieri si sentivano una grande famiglia. Mio padre spesso mi metteva sul treno, mi affidava a un collega che mi doveva portare in un’altra città. Quella famiglia si è ritrovata anche in occasione della mia prima messa.

2. Continua. La prossima settimana l’intervista ricorderà i gusti musicali, le letture preferite, lo stile del governo della Chiesa.