Il Pellegrino

Al Teatro Donizetti da martedì 7 a sabato alle 20.30 e domenica alle ore 15.30 è di scena la Roma papalina post napoleonica: Massimo Wertmuller sarà Il Pellegrino, autore e regista Pierpaolo Palladino. Con il sottofondo delle musiche di Pino Cangialosi eseguite dal vivo, l’attore, unico interprete sul palcoscenico, dà voce a 26 personaggi tra “ommini e donne” e il cavallo Bruto. Attraverso un variegato monologo in romanesco Wertmuller, sulla scena con una sedia recita le vicende quotidiane del vetturino Ninetto, al servizio con la madre presso il napoletano Monsignor Caracciolo, all’indomani della caduta di Napoleone e con la restaurazione in atto imposta dal Papa Re Pio VII e dalla sua polizia. Una e più maschere per svelare le miserie del potere e la generosità degli umili in un’Italia ancora sotto il dominio straniero. «Basta la paura e l’ignoranza a nun fa sognà la gente?».

In scena interpreta 26 personaggi dando a ciascuno una diversa sfumatura. Un compito impegnativo ma di soddisfazione?

Sicuramente sì. Non ho mai amato i monologhi, tant’è vero che in questo lavoro che sto portando in scena insieme all’autore e regista Pierpaolo Palladino da quindici anni, dialogo con i miei personaggi, interpretando ognuno attraverso le loro caratteristiche psicologiche e caratteriali. Alla fine a forza di dialogare con loro, mi dimentico di stare solo sul palcoscenico. Entro ed esco dal monologo, a me piace il teatro con in scena più attori, c’è più magia.

Qual è il significato della frase pronunciata da Ninetto, “Sì lo so, a fa l’affari propri se campa cent’anni. Ma dimme un po’: quali so’ gli affari propri?”?

Questa frase rappresenta il cuore, anzi il messaggio di questo lavoro. Uno dei temi principali del Pellegrino è una dura e forte critica nei confronti dell’ignavia, cioè quell’incapacità atavica tipica del popolo italiano di partecipare alle cose, di protestare e di indignarsi. Un tema attuale. Quanto noi deleghiamo agli altri? Altrimenti non saremmo stati un Paese invaso, comandato, guidato da altri. Considero questo un testo contro tutte le ignavie. Stare da una parte a non fare nulla o partecipare a una cosa che si ritiene giusta? Il pellegrino decide per la seconda strada.

Il vetturino Ninetto rivolto direttamente agli spettatori parla un linguaggio attuale?

Nel senso più stretto della parola no, perché Ninetto parla un romanesco antico che non esiste più. Un romanesco musicale, gradevole all’ascolto che richiama al Belli, a Trilussa. Mi viene in mente il grande Gigi Magni con il quale ho lavorato, Alberto Sordi, Nino Manfredi. Ora il dialetto romanesco si è imbarbarito. Però i temi trattati dalla commedia, l’amicizia e l’ignavia, quelli sì, sono attualissimi.

Nel film, L’ultima ruota del carro, di Giovanni Veronesi interpreta il ruolo del padre del protagonista Ernesto Marchetti (Elio Germano). Che tipo di genitore è Marchetti Sr che pronuncia la frase che dà il titolo alla pellicola?

È un genitore che non capisce il proprio figlio, anzi che rischia di danneggiarlo dal punto di vista emotivo. Un uomo autoritario, arido, cattivo nell’animo, incapace di fare il padre. Anche se il film non lo racconta, certamente il padre di Ernesto è un uomo insoddisfatto di se stesso. Ho conosciuto il vero Ernesto Marchetti, siamo diventati amici, ha fatto mille mestieri nella sua vita. Nonostante il pessimo comportamento ricevuto dal padre, Ernesto è un uomo sereno, una persona dolcissima che vive da molti anni felicemente insieme a sua moglie.