Alla ricerca del lavoro perduto

Un film, alcune veglie di preghiere, tanti incontri e dibattiti. Attorno al tema del lavoro nella nostra diocesi nell’ultimo periodo c’è stato molto movimento e impegno. Quasi a voler rimettere al centro un tema rimasto troppo a lungo dimenticato e che sta costituendo, per molti, anche nella nostro ricca provincia bergamasca, un problema e una difficoltà. Per la prima volta, dopo molti anni, lo spettro della disoccupazione si affaccia, concretamente, sulla soglia di tante famiglie.

UN QUADRO CHE PREOCCUPA

Basta leggere con attenzione il “Rapporto sull’Occupazione” pubblicato dalla Provincia di Bergamo: il 2013 è stato il peggior anno del periodo di crisi. Cosa dice il Rapporto? Ecco in sintesi i dati principali.
Gli avviamenti al lavoro (dati delle Comunicazioni Obbligatorie) sono stati nel 2013: 127.173. Sono 17.304 meno del 2012, con un calo, quindi, del -12%. Si è ridiscesi al dato del 2009, quando gli avviamenti furono ancora poco più di 127mila per poi salire oltre 150mila nel 2011. Il dato quindi è molto negativo e segnala il forte rallentamento della produzione e dell’occupazione.
Le cessazioni (140.466) sono più degli avviamenti e il saldo è pertanto negativo (-13.293). S tratta del saldo più negativo dal 2009.
Dal punto di vista della distribuzione territoriale, è la medio-bassa Val Seriana (cioè i comuni che afferiscono al Centro per l’Impiego di Albino) a registrare il calo più alto negli avviamenti rispetto al 2012: il -17,90%. Seguono Treviglio (-14,10%), Grumello del Monte (-13,40%), Zogno (-13,0%), Ponte San Pietro (-13,30%), Clusone (-13,10%), Lovere (-11,80%), Romano di Lombardia (-9,90%), Bergamo (-9,8%), Trescore Balneario (-5,5%).
Rispetto all’anno 2009, quando contribuiva al numero totale degli avviamenti provinciali con il 39,2%, la zona di Bergamo perde oltre 3 punti percentuali e scende al 34,7%. In misura minima, intorno allo 0% perdono tutti i territori tranne Treviglio che passa dal 16,2% del 2009, al 18,1% del 2013 (+1,91%; si conferma che la Bassa Bergamasca sarà il territorio economicamente più attrattivo della provincia) e Grumello del Monte il cui peso negli avviamenti cresce dell’1,79%.
Minime le variazioni di genere nel numero degli avviamenti. Le donne erano il 45,8% nel 2009 e scendono al 44,9% nel 2013. Non si notano, in questi dati, i segnali di aumento del tasso di occupazione e di attività femminili evidenziati dalla recente rapporto ISTAT, anzi, nel quadro generale del calo di avviamenti, esse calano più dei maschi.
Per quanto riguarda i settori produttivi:
– l’agricoltura conferma di essere un comparto minoritario (l’1,9% degli avviamenti), ma in crescita (+46,74% dal 2009 quando costituiva l’1,3% degli avviamenti)
Commercio e servizi, dopo 3 anni di crescita (+6,6% tra 2009 e 2012) perdono nel 2013 ben 8.187 avviamenti (-9,5% nell’anno) ma restano il settore con la percentuale più alta degli avviamenti (il 61% del totale degli avviamenti provinciale.
– il settore delle costruzioni è quello che ha subito il calo peggiore tra 2009 e 2013, il -28,05%; mentre nel 2009 rappresentava il 13,6% degli avviamenti, ora è sceso al 9,8%.
– molto articolato il dato dell’industria che ha visto una forte crescita di avviamenti tra 2009 e 2011 passando da 28mila a 47mila per poi calare nel 2012 (43.265) e nel 2013 (34.785). Lo scorso anno, quindi, gli avviamenti nell’industria sono calati di 8.514 unità; un calo del 19,7% in un anno, e poiché gli avviamenti in totale sono diminuiti di 17mila unità, metà di questo calo è da attribuire all’industria. La particolare dinamica dei dati di questo settore produttivo si spiega col fatto che è proprio l’industria è si realizza il maggior ricorso ai contratti di somministrazione (quindi più avviamenti di breve durata per lo stesso lavoratore).
L’analisi dei dati raggruppati delle forme contrattuali (tipo di rapporto di lavoro) conferma la fortissima crescita dei rapporti precari. L’insieme dei rapporti a tempo determinato era il 58,7% degli avviamenti nel 2009, ora è il 72,8%. Da notare l’andamento nel corso degli anni non evidenzia alcun rapporto tra aumento dei contratti e precari e totale degli avviamenti; in altre parole, non c’è alcun rapporto tra aumento dei lavori precari e aumento dell’occupazione.
Tra 2012 e 2013 le uniche comunicazioni obbligatorie che segnano un aumento sono gli stage e i lavori socialmente utili (in totale 4.704 nel 2013 contro i 3.569 del 2012; + 31,8%). Molto correttamente, questa volta, la Provincia non ha messo gli stage tra i “rapporti di lavoro” perché stage e tirocini non sono rapporti di lavoro. È assai preoccupante che siano l’unica tipologia in aumento e siano concentrati nel settore del Commercio (3.827).
Diminuiscono notevolmente i contratti di somministrazione (-28,3%) e lavoro a progetto (-20,1%).
Una netta conferma dei dati ISTAT arriva dall’esame degli avviamenti per classi di età. Il calo generale è, come si è visto, del -12%, ma gli avviamenti dei giovani (15-19 anni) calano del 22,3% e quelli dei giovani tra 20 e 29 anni calano del 15,4%. Sotto la media provinciale le altre classi di età.
A pagare un alto prezzo alla crisi, oltre ai giovani, sono soprattutto gli stranieri: in un anno il numero dei loro avviamenti al lavoro è diminuito del 16%. Ma se si guarda l’insieme dei dati tra il 2009 e il 2013, la diminuzione degli avviamenti è di -303 unità (127.169 nel 2013; 127.472 nel 2009); per gli italiani c’è un aumento di +3998 unità mentre per gli stranieri una diminuzione di 4.301 unità (-11%).

UNA REPUBBLICA  FONDATA SUL LAVORO

Insomma, il quadro è desolante e la situazione preoccupante. Viene in mente il primo comma del primo articolo della nostra carta costituzionale: «L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro». Un inizio, questo, non causale ma voluto fortemente dai padri Costituenti, Giuseppe Dossetti e Palmiro Togliatti in primis, come architrave dell’intero testo. Entrambi avevano ben chiara la convinzione che il lavoro definisce la qualità della nostra democrazia repubblicana e nello stesso tempo è il pilastro che regge l’intero impianto e attorno su cui viene tessuta la tela dei diritti fondamentali dei cittadini. Il lavoro è il principio che ha dato un senso nuovo al tema della cittadinanza. Da Atene in poi i cittadini erano infatti gli uomini liberi la cui condizione soggettiva era garantita da quella servile di altri uomini senza dei quali, appunto, non avrebbero potuto esserci i primi. Il lavoro, essendo appannaggio degli uomini “servili”, era perciò condizione della loro esclusione dalla cittadinanza. Con la Costituzione del 1948 si è affermato in modo solenne il principio opposto: il lavoro è la condizione che dà titolo alla cittadinanza.

E oggi che il lavoro manca? Cosa facciamo? Certo, oltre le prediche e i generici appelli, offrire strumenti di comprensione e di discernimento di una stagione nuova e inedita per una lettura che vada in profondità e colga i nessi tra esperienza personale, reti sociali e trasformazioni socio economiche.
Non dimenticare il dolore, la sofferenze e la prova che questa situazione sta producendo in molti uomini e donne.
Infine mostrare anche attraverso i tentativi nati in Diocesi che si possono gettare dei semi di vita nuova e si possono anche tentare delle soluzioni a situazioni drammatiche.
Anche in questo caso, come credenti appassionati della città, dobbiamo essere presenti. Con lucidità e competenza e, insieme, con una precisa scelta di campo. Quella del Vangelo delle Beatitudini, di chi ha fame e sete di giustizia. Che ricorda il nocciolo fondamentale: la dignità dell’uomo, dei lavoratori, delle famiglie. E che chiede a ciascuno di farsi carico delle proprie responsabilità per incidere sulla realtà e modificarla. Per una chiesa che, dentro la città di tutti, sia ispirata al Vangelo della responsabilità.