Sapere religioso e dialogo. A proposito dell'”ora di religione”

LA PROVOCAZIONE DEL FONDAMENTALISMO

Di fronte a fenomeni, minoritari ma sanguinari, di fondamentalismo islamico e, talora, di fondamentalismo di reazione, di fronte alla necessità di un’educazione al dialogo e alla conoscenza reciproca, quanto incide l’IRC (Insegnamento della Religione cattolica)?
La ricerca condotta dal Centro di Ateneo per la Qualità dell’Insegnamento e dell’Apprendimento dell’Università degli Studi di Bergamo, pubblicata dalle Edizioni Studium nel 2013 con il titolo “Sapere la religione cattolica”, a cura di Fabio Togni, con introduzione di Giuseppe Bertagna e postfazioni di James Organisti e Elio Damiano, aiuta a rispondere alla domanda.

UN’INCHIESTA E IL (POCO) DIBATTITO SUI RISULTATI

Occorre osservare che non ha suscitato un grande dibattito. Perché la ricerca mette in discussione molte certezze tanto circa l’oggetto dell’insegnamento quanto sul modo concreto di proporlo. E, quindi, volendo essere logici, ne problematizza l’assetto giuridico-istituzionale, quello didattico nonché le cattedre dedicate, con i relativi stipendi. E, dunque, gli accordi tra la Conferenza episcopale italiana e il governo.
“Sapere la religione cattolica” significa rendersi conto dell’intreccio della fede cristiana, nella sua versione cattolica, con la storia economica, sociale, culturale, politica degli individui e delle nazioni, con la lunga durata e con la storia evenemenziale, cioè con quel che accade qui e ora. Presuppone un discorso più generale, ma intrecciato e altrettanto concreto, sulle confessioni protestanti e sulle altre religioni, tra cui ebraismo e islamismo.

GLI STUDENTI SANNO POCO DI CRISTIANESIMO

I questionari somministrati hanno accertato livelli mediocri di conoscenza. Gli studenti che hanno una buona conoscenza della religione cattolica oscillano in un range tra il 20% e il 40%, per quanto è dato desumere dalle risposte alle domande sul nucleo biblico, su quello teologico-dogmatico, su quello cristologico e su quello ecclesiologico.
In particolare, la conoscenza della Bibbia appare decisamente scarsa. Di più e peggio, i ricercatori affermano: “ I dati sembrano suggerire che le conoscenze di religione cattolica sondate dal questionario sono per lo più il frutto della frequentazione da parte degli studenti di percorsi, associazioni, movimenti informali o non formali rispetto alla scuola (ad es. la parrocchia e la catechesi). Se le cose dovessero, malauguratamente, stare in questo modo, il compito dell’IRC sarebbe fallito e il successo della lezione sarebbe affidata alla sola capacità istrionica dell’insegnante”. Se poi si volesse passare dalla verifica della conoscenza all’accertamento della competenza, cioè se la conoscenza diventi pietra angolare della costruzione dell’identità personale, del Sé – questo è il concetto di competenza, che vale per ogni disciplina – qui ci troviamo nel regno dell’inverificabile.

LO “STATUTO” DELL’ORA DI RELIGIONE

In realtà, la questione irrisolta è quella della consistenza epistemologica dell’oggetto della disciplina. Nata in un contesto storico, in cui la religione cattolica era la religione dello stato – così che l’insegnante di religione era, in quanto prete, funzionario della Chiesa e, in quanto insegnante, funzionario dello Stato – ha perso con il Concordato del 1984 l’aureola della religione di stato, ma ha mantenuto contenuti e funzioni rispetto alla tradizionale organizzazione della didattica per materie.
Restano aperte due strade, che le due postfazioni indicano: trasformare l’IRC in catechesi, come propone James Organisti, in base ad una constatazione antropologica – ”la religione è una modalità radicale di accesso alla propria identità” – e cristologica – “la storia di Gesù non è che la rivelazione stessa -. Oppure scolarizzare integralmente l’IRC , come propone Elio Damiano, individuando “oggetti di conoscenza non catechetici e non teologici”, bensì, appunto, storico-culturali. La prima strada conduce fuori dalla scuola, giacchè il suo ambito più proprio diventa la comunità dei credenti. La seconda porta a integrare l’IRC nelle altre discipline, facendone un punto di intersezione. Ma qui si dovrebbe aprire la discussione sull’assetto alienante della didattica di tutte le materie, oggi organizzata per parcellizzazione e non per laboratori.
Restano due evidenze. La prima è che, se “il sapere religioso” è parte costituente del processo di formazione dell’identità, l’attuale IRC non lo fornisce. Pertanto non offre risorse né per la comprensione del Sé né per il dialogo con “gli altri”. Oggi è, salvo eccezioni, un’occasione educativa perduta. La seconda: pigrizie intellettuali e interessi materiali concreti impediscono di prendere atto pubblicamente – innanzitutto da parte della Chiesa – di questo grave deficit educativo e di affrontare alle radici tanto il problema dell’oggetto epistemologico dell’IRC quanto la sua collocazione nel contesto formativo e educativo organizzato. Da quanti ogni giorno fanno appello al dialogo e alla comprensione reciproca, ci si aspetta il passaggio dalla retorica rituale ad una riflessione autentica e veritativa sulle condizioni educative concrete alle quali possano effettivamente accadere.