Padre Ivo Cavagna, da Bonate Sotto alla Thailandia: un missionario per 500 mila abitanti

Nel corso del suo ultimo viaggio in Oriente, papa Francesco ha fatto tappa anche in Thailandia. Prima di ripartire alla volta del Giappone, infatti, il pontefice si è fermato a Bangkok e dintorni per qualche giorno, dal 19 al 23 novembre 2019: ha incontrato il patriarca supremo dei buddhisti, ha visitato il sovrano della Nazione, re Rama X, e celebrato messa alla presenza di circa 40 mila fedeli. L’occasione per lo scalo di Bergoglio in Thailandia – si tratta della seconda visita di un pontefice al Paese, dopo quella di papa Giovanni Paolo II nel maggio del 1984 – sono i 350 anni dall’avvio dell’impegno della Società per le missioni estere di Parigi nell’antico Siam: di tale evangelizzazione, sono eredi circa 400 mila cattolici (su un totale di 65 milioni di abitanti).
Anche il P.I.M.E. ha dato il suo contributo nella missione ad gentes: dal 1972, l’Istituto è presente in Thailandia, nelle diocesi di Bangkok e Chiang Mai, e riveste un ruolo chiave nella crescita religiosa e umana di una realtà dove ineguaglianza e sfruttamento sono raramente riconosciuti e combattuti.
Tra i tanti membri del P.I.M.E. che hanno concorso alla diffusione del cristianesimo a queste latitudini c’è anche un bergamasco. Si tratta di padre Ivo Cavagna, religioso di Bonate Sotto che, al momento, vive ed opera a Phrae, nel nord della Thailandia: la parrocchia di cui si occupa, intitolata a san Giuseppe lavoratore, è l’unica presenza cattolica in una provincia che conta circa 500 mila abitanti, e la sua la sola figura di missionario nella zona.
«Al mio arrivo a Bangkok, nel 1991, il primo impatto con la nuova realtà è stato a dir poco scioccante – racconta padre Ivo, partendo dagli albori della sua esperienza  in Thailandia -. Tutto era diverso dall’Italia. Dal clima, equatoriale e molto torrido, all’alimentazione, basata quasi esclusivamente sul riso. Per non parlare della lingua, una barriera che all’inizio impediva la comunicazione».
Dopo un periodo destinato appunto allo studio del thai, padre Ivo viene mandato nel comune di Mae Suay, nella provincia di Chiang Rai. Il suo compito, in questa parte della Thailandia settentrionale, era aiutare il parroco, anche lui italiano, nella cura di un centinaio di ragazzi delle scuole elementari e medie della missione, accolti dai villaggi limitrofi perché potessero avere un’istruzione. «Inoltre – specifica padre Ivo -, in quel periodo, ho visitato una trentina di insediamenti sparsi sulle montagne circostanti: alcuni in via di conversione, altri, invece, dove il processo di evangelizzazione era già avviato e quindi andavo per la cura pastorale, l’amministrazione dei sacramenti ed il catechismo».
Nel nord della Thailandia, infatti, i missionari del P.I.M.E. lavorano principalmente con i tribali: si tratta di minoranze etniche, con usi e lingue proprie, sfollate dalla Birmania e bisognose di aiuto. Questi gruppi, originari delle regioni dell’Himalaya, sono popolazioni nomadi, la cui religiosità è stata per secoli legata ai tempi e ai ritmi della natura, attraverso riti di espiazione e benedizione presieduti da sciamani. «In noi sacerdoti – prosegue il missionario -, questa gente cerca una figura che gli possa dare fiducia e speranza: attraverso la visita alle loro comunità, a momenti di catechesi, a consigli di vita pratica, qualcuno alla fine chiede il battesimo. È un lavoro impegnativo e che richiede tempo: si tratta di stare sempre vicino a queste persone, di non farli sentire soli nelle difficoltà, di confortarli e di essere per loro come una guida».
Dopo cinque anni nel nord del Paese, padre Ivo viene trasferito nella capitale: a Bangkok, infatti, il P.I.M.E aveva appena costruito una casa per la formazione e i ritiri, rivolta soprattutto a giovani e gruppi parrocchiali. Come responsabile della struttura, al missionario bergamasco era chiesto di occuparsi tanto delle incombenze pratiche quanto di quelle spirituali: predicare nei ritiri e seguire la formazione di singoli e gruppi, avviandoli verso i sacramenti.
Alla fine del 1998, padre Ivo torna in Italia. In un primo momento, come redattore delle riviste Mondo e Missione e AsiaNews, entrambe collegate al P.I.M.E.; poi, date le sue abilità nel settore informatico, viene incaricato di sistemare e modernizzare, a livello informatico-telefonico, il Centro missionario di Milano e diverse case del P.I.M.E. in tutta Italia.
Nel 2015, padre Ivo riparte per la Thailandia. Destinazione Chiang Mai, località che raggiunge dopo un veloce ripasso della lingua, la cui conoscenza si era affievolita negli anni di assenza. «Il vescovo della diocesi locale mi aveva richiesto per due motivi – spiega il classe ’61 -. Voleva che creassi e dirigessi l’ufficio diocesano per le comunicazioni sociali e, al contempo, facessi da coadiutore in parrocchia della zona».
Nel maggio del 2017 padre Ivo è nominato parroco a Phrae, dove sorge una piccola comunità religiosa, nata nel 1965 per iniziativa di alcune famiglie cristiane scappate dalla Cina di Mao Tse Tung. Oltre alla cura pastorale della parrocchia e dei villaggi vicini, padre Ivo è il responsabile di una cinquantina di ragazzi, alunni delle elementari e delle medie, che vivono nella missione e frequentano la scuola degli Angeli Custodi: un istituto cattolico aperto a tutti, con classi dalla materna all’ultimo anno delle superiori, che conta circa 2 mila studenti, in prevalenza buddhisti. Altra attività della parrocchia, come segno della carità cristiana, è un Centro di aiuto ai bambini disabili, creato nel 1995 da alcuni volontari dell’Associazione laici P.I.M.E.: attualmente, al St. Joseph Center sono ospitati una sessantina di giovani pazienti con varie disabilità, che di giorno frequentano la scuola della parrocchia e nel pomeriggio, con l’aiuto di due fisioterapisti, vengono seguiti anche a livello fisico.
«In Thailandia – racconta padre Ivo, direttore del Centro -, la logica buddhista del karma influenza ampiamente il modo di vivere delle persone: la presenza in una famiglia di un bambino disabile viene considerata una sventura, in quanto il figlio è vissuto come un’espiazione di un male commesso nella vita precedente. Molto spesso la persona disabile è vista come un peso: qualcuno da ignorare e da tenere nascosto. Pertanto, la scelta di lavorare con e per i disabili è nata dal desiderio di condividere nella quotidianità un tratto di strada insieme con chi è ingiustamente privato delle proprie dignità e libertà. Segno di una gratuità che si fa speranza per un ritorno fiducioso e pieno alla vita, testimoni che nessun essere umano è destinato alla disperazione».
Negli ultimi anni il St. Joseph Center è diventato un punto di riferimento per molte famiglie con bambini affetti da varie forme di disabilità. Ma soprattutto è un esempio di come è possibile aiutare concretamente i disabili a raggiungere un recupero psicofisico, dando a molti di loro un’opportunità di riscatto e la possibilità di entrare, a testa alta e con pieno diritto, nella società thailandese.