Le fiabe della città deserta. Il volo degli ibis sacri

Nei giorni della pandemia le città si sono svuotate e sono diventate silenziose come deserti. Ci accompagna il suono delle sirene delle ambulanze, soprattutto qui a Bergamo, uno dei primi epicentri dell’epidemia di covid-19. Siamo rimasti colpiti dalle immagini degli animali selvatici che tornano per le strade. Così nasce l’idea di queste fiabe della città deserta, come una carezza, come segno piccolo e delicato di speranza e di tenerezza, un invito a guardare la nostra realtà, oggi così dura, con altri occhi, per ritrovare la meraviglia e qualche frammento di bellezza. Con una dedica speciale a chi soffre, a chi veglia, a chi si sente stanco e spossato, a chi fatica a trovare la forza di lottare. Questa volta protagonisti sono gli ibis, uccelli esotici (nell’antico Egitto erano sacri e considerati simbolo terreno del dio Toth, divinità della sapienza, inventrice della scrittura e protettrice degli scribi) che vivono in Africa e nelle loro migrazioni negli ultimi anni sono arrivati anche in Italia e in Bergamasca. Le foto sono © di Giovanni Diffidenti, scattate in città e in provincia.

Il giovane ibis apre le grandi ali e si china sull’acqua del fiume. I suoi gesti sono lenti ed eleganti. Le sue piume sono bianche, bordate di nero, come se un pittore gliele avesse dipinte addosso, disegnando un insolito abito da sera. Con il suo becco ricurvo fruga tra i sassi in cerca di cibo. E’ un bravo pescatore, ha imparato dalla mamma, che è qualche passo avanti a lui, con le zampe immerse nell’acqua.

Poco più in là galleggia uno strano oggetto rotondo. Cosa sarà? L’ibis non ha mai visto niente di simile, lo osserva affascinato. E’ una palla che un bambino, un giorno, ha lanciato troppo lontano, fino a farla cadere nel fiume. La corrente l’ha portata fin lì e poi l’ha spinta verso la riva.

L’ibis, curioso, si avvicina e la sposta col becco ricurvo, la fa girare, la solleva e la lascia cadere tra mille schizzi d’acqua. Schiacciandola fa rumore, è divertente, e lui ha tanta voglia di giocare.

Quel gioco è come un incantesimo

Il vento gli scompiglia le piume con un sussurro insistente, le siepi corrono via, i fiori si piegano verso di lui come per chiamarlo, ma l’ibis non se ne accorge, continua a seguire la palla. Un passo alla volta, senza rendersene conto, si allontana dal suo stormo.

Il tempo passa, la luce diventa più intensa, e infine si smorza in un tramonto rosso fuoco. Quel gioco è come un incantesimo che cattura il giovane ibis mentre tutto il resto sparisce.

Quando finalmente rialza la testa, scopre di essere rimasto solo. “Mamma, dove sei? – chiama – Dove siete tutti?”.

Così il giovane ibis si alza in volo: “Dall’alto il mondo si vede meglio”. Anche questo glielo ha insegnato la mamma.

Un metro dopo l’altro, si solleva nel cielo. Le prime stelle si accendono, gli sorridono e lo salutano: “Cosa fai in giro da solo a quest’ora, giovane ibis?”.

Alla scoperta della città deserta

Poco lontano dal fiume c’è una città. L’ibis è molto curioso, ma esita: “Non posso, devo trovare lo stormo”. Le finestre scintillano di luce, e il richiamo è irresistibile, perché quel posto non l’ha mai visto. “Solo un momento, poi torno indietro” dice tra sé, e silenziosamente cambia rotta, planando intorno alle case.

Non c’è nessuno per le strade, nessun umano, così l’ibis si avvicina per guardare meglio. Si posa su di una fontana, nel bel mezzo di una piazza deserta.

“E tu chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti” gli dice un passerotto.

“Vengo da lontano, non sono di qui” risponde l’ibis, pensando al lungo viaggio compiuto con lo stormo attraverso i cieli dell’Africa.

“La tua specie non vive nelle città” commenta un gatto, appostato poco lontano, passandosi mollemente la lingua su una zampa.

“Meglio spostarsi un po’ più in alto” suggerisce il passerotto, scattando in alto, e l’ibis lo segue fin sulla cima di un grande campanile.

“Non ho visto umani – spiega -, per questo mi sono avvicinato”.
“E’ da un po’ che restano tutti chiusi nelle case – osserva il passerotto -. Forse c’è un pericolo, ma non si vede. E’ un mistero”.

C’è un profondo silenzio per le strade

C’è un profondo silenzio per le strade. I lampioni sono accesi. Perfino l’aria sembra ferma.  L’ibis osserva dall’alto del campanile, accanto al passerotto. I due uccelli sussultano al minimo rumore: il fruscìo di una foglia, i passi felpati di un gatto, un foglio di carta accartocciato che rotola per terra.

Gli occhi dell’ibis incontrano per un attimo quelli di un piccolo umano, un bambino, in piedi davanti a una finestra aperta. Lui muove le mani per farsi vedere, in un gesto di saluto. L’ibis scuote un po’ il becco e le ali, in segno di risposta.

“Che fai? Attento – gli dice il passerotto – quasi quasi mi facevi cadere. Vieni con me, adesso, è meglio che ce ne andiamo”

“Perché?” chiede l’ibis, ma intanto segue il suo nuovo amico, alzandosi in volo più in alto sopra la piazza.

I cento rintocchi del campanone

Dal campanile si spande un suono cupo, ritmico.

“E’ il campanone – spiega il passerotto. Quella grossa campana accanto alla quale ci eravamo posati prima. Qui, nella piazza di questa città, che è molto antica, ogni sera suona per cento volte. E’ una tradizione degli umani, si trasmette da una generazione all’altra da tantissimo tempo”.

“Che strano” osserva l’ibis, e con la guida del passerotto continua ad esplorare le strade e le case, affascinato. Nel cuore, però, si sente inquieto. Come farà adesso? Si è allontanato troppo. Non è un viaggiatore esperto, senza lo stormo non ha punti di riferimento, la sua bussola è difettosa. “Non so come ritrovare il fiume e la mia mamma” confessa al passerotto.

“Vorrei poterti aiutare – risponde lui -, ma ho sempre vissuto qui, in mezzo agli umani. E il mio nido è piccolo per uno come te. Comunque posso almeno farti compagnia”.

Amici per sempre, anche a distanza

La notte è buia e piena di segreti. L’atmosfera sembra calma, ma l’ibis e il passerotto sono inquieti e se ne stanno appoggiati al riparo, sul tetto di un edificio, vicini, attenti, si guardano intorno con prudenza. Ai loro piedi si stende la città, deserta e quieta. “Mi sono messo nei guai per colpa della mia curiosità” dice con rammarico l’ibis. “Non è vero, io ti ammiro molto – risponde il passerotto – sei coraggioso, sei un esploratore. E se non fossi arrivato fin qui non ci saremmo mai incontrati. Sono contento, invece, che sia successo”.

A un certo punto sentono l’aria spostarsi, avvertono un battito d’ali, e si voltano, allarmati. Ma si rilassano subito, con un sospiro di sollievo: è solo un grande ibis che si sta avvicinando velocemente. “Guarda, è la mia mamma” dice l’ibis, timoroso e felice.

“Ops, mi sembra un po’ arrabbiata – commenta il passerotto -, ora dovrai spiegarle tutto”.
“Meno male che è venuta a cercarmi. Devo andare, ma tornerò a trovarti. Grazie per non avermi lasciato solo. Siamo amici per sempre”.
“Ciao ibis, a presto” lo saluta il passerotto, con un pizzico di malinconia.

Così l’ibis e la sua mamma tornano insieme verso il fiume, sorvolando la città addormentata. Qualcuno li osserva dalle finestre. Le loro ali bianche ed eleganti sembrano pennellate di luce sotto la luna.

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(Nella foto di © Giovanni Diffidenti: ibis sacri in volo, in provincia di Bergamo)

Leggi la prima fiaba della città deserta qui: La passeggiata del coniglio.