“Dammi da bere. Tre donne. Tre storie di salvezza”, intervista a Caterina Falconi

La storia di tre figure femminili evangeliche: la Samaritana, la Cananea e l’Emorroissa rivisitate in forma narrativa viene raccontata da Caterina Falconi in “Tre donne. Tre storie di salvezza”, sottotitolo del volume “Dammi da bere” (Mimep-Docete 2021, pp. 80, 10,00 euro). Gli episodi evangelici degli incontri di Gesù con tre donne, sono emblematici del rapporto rinnovato che Cristo instaura con tutti e in particolare con le figure femminili.

Il libro, impreziosito dalle note esegetiche di Gian Nicola Paladino OFMCap, docente di Lingua
Ebraica ed Esegesi del Primo Testamento, è edito da Mimep-Docete di Pessano con Bornago, in provincia di Milano, casa editrice gestita dalle suore Loretane, appartenenti alla Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria di Loreto, fondata nel 1920 dal beato don Ignazio Klopotowski, prete diocesano di origine polacca. I proventi del testo andranno alle stesse suore tipografe, che lavorano impaginando e stampando nella loro casa di Pessano con Bornago, metà convento e metà fabbrica.

Abbiamo intervistato Caterina Falconi, laureata in Filosofia, che ha lavorato per due anni in un ospedale missionario africano con il volontariato internazionale ed è educatrice in un istituto di riabilitazione.

  • L’incontro con la samaritana è un episodio riportato dal Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù ha un colloquio con una donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe. “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. Qual è la valenza metaforica di questo celebre racconto evangelico?

«Sono solo una credente e una scrittrice, come tale posso tentare di esporre le riflessioni che la lettura del brano giovanneo ha suscitato in me. Nel libro l’ho fatto in forma narrativa. In questa sede mi “dislocherò” sul fronte concettuale. Tutti i passi del Vangelo presentano un nucleo di mistero. Sono densi di significato e rimandi, quasi stroboscopici. Ho colto, dal mio canto, dal mio cantuccio, la singolarità di una conversazione, di altissimo spessore, i cui interlocutori sono un Dio maieutico e una donna sapiente. Categorie inedite nella mentalità giudaica del tempo. A mio avviso, in quella richiesta di essere dissetato, forse Gesù suggeriva alla Samaritana di estinguere la sete di verità e l’attesa sitibonda del Messia che la pervadevano, dissetando una fede arida, perché trascurata e tradita, custodita nel suo cuore deragliato. I teologi hanno molto argomentato sull’incontro al pozzo di Giacobbe. Io sono stata e resto colpita dall’andamento di quella conversazione, tuttora palpitante,
in cui il tono e le parole della Samaritana mutano e convergono sul tema della salvezza a mano a
mano che la donna intuisce chi sia il giudeo che le ha chiesto da bere. E mi piace pensare che la
Samaritana sia anche una metafora della donna intellettuale che, nonostante le derive di una vita sperperata, abbia preservato l’aspettativa dell’incontro salvifico con Dio. Con questo non intendo dire che un’intellettuale sia esposta ai marosi del destino e allo sperpero di sé, ci mancherebbe. Ma
che è terribilmente doloroso, per chi sia avvezza alla ricerca di senso, scoprirsi a un tratto disorientata. In quello sconcerto, quale impatto con la felicità dev’essere scoprire che il Signore ti sia venuto a cercare!».

  • Nella sua rivisitazione narrativa dell’incontro tra Cristo e la Cananea, episodio evangelico narrato da Matteo e Marco, tra le altre cose scrive che “la donna Cananea si connota per la pervicace insistenza della supplica al Signore”. In quel grido: “Signore, aiutami!” c’è tutta la sua disperazione di madre, affinché Gesù guarisca sua figlia indemoniata?

«La Cananea preconizza il destino universale del Cristianesimo, questo è indubbio. Ma a mio
avviso è anche rappresentativa dell’amore materno disposto ad affrontare qualsiasi realtà per la salvezza dei figli, foss’anche Dio, di cui identifica istintivamente, riconoscendone l’ascendenza e la natura, il Figlio: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”. Se l’amore di una madre, nel caso specifico amplificato dalla disperazione, è secondo solo all’amore di Dio, in nome di questa derivazione e affinità la Cananea interpella il Signore oscillando tra la supplica disperata e veemente, “Signore, aiutami!”, a modalità di richiesta, che coinvolgono tutto il suo essere. Insegue strepitando Cristo e i discepoli, si inginocchia ai piedi di Gesù impedendogli il cammino, non si sottrae a uno scambio verbale arguto e implorante, nonché persuasivo con il Signore che la provoca maieuticamente sulla grande questione dei destinatari della Grazia. È un personaggio straordinario, quello della Cananea, in cui si mescolano maternità e condizione filiale. La cui richiesta di salvezza e liberazione non è inerente solo alla possessione della bambina, ma la riguarda in prima persona, nel gioco di riflessi e corrispondenze che legano visceralmente una madre alla sua creatura. Da donna e da madre, nonché da autrice, sono colpita dall’accoglienza di Gesù verso un femminile così variegato, di cui la Cananea, come la Samaritana e l’Emorroissa, rappresentano solo tre delle declinazioni possibili. Non le rintuzza, ma lascia che esprimano in modi talora eccessivi, claudicanti, tremebondi o imperiosi, la loro richiesta di salvezza, di presa in carico, di pacificazione. Si pone in dialogo con le interlocutrici fino a raggiungere, con il Suo tocco salvifico, il loro cuore. A quel punto ogni parola diviene inutile, e il Signore riprende il suo cammino lasciando le miracolate alle prese con un destino benevolmente mutato».

  • La guarigione dell’emorroissa è un miracolo di Gesù descritto nei Vangeli sinottici. “Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire”. Qui la fede è il mezzo per attingere da Dio la forza risanatrice e superare le forze negative che sminuiscono la vita di ciascuno di noi?

«Certamente la fede è una risorsa inestimabile in questo campo di battaglia che è il vivere. Lo è,
penso, nella misura in cui ci affidiamo e affidiamo il bolo di dolore che ci paralizza nelle mani onnipotenti del Signore. Nel caso dell’Emorroissa, siamo al cospetto con una donna afasica, talmente compenetrata della percezione della propria indegnità, peraltro incolpevole, da essere incapace di articolare la richiesta di guarigione. Una supplica che si riassume nel gesto di toccare un lembo del mantello di Gesù. Eppure il Signore avverte quello sfioramento e con esso, nella sua cardiognosi, il dramma della sofferente a cui viene in un certo senso estorta la narrazione di sé. La grazia ottenuta sopravanza la supplica. Cristo infatti non solo guarisce l’inferma dal male, ma la reintegra nel consesso umano dichiarando pubblicamente la sua guarigione».

  • Nei tre racconti evangelici Gesù riconosce a queste tre figure femminili una dignità e una parità con l’uomo impensabile per l’epoca in cui visse e predicò. Ce ne vuole parlare?

«Non sono una biblista, ma ho fatto delle ricerche in proposito, confrontandomi anche con padre Gian Nicola Paladino autore dei preziosi brani esegetici. Del resto non è difficile immaginare come, in tempi antichi e in una società patriarcale, la figura femminile fosse relegata in una sudditanza che le precludeva l’iniziativa, la piena partecipazione al culto, di alzare la voce, di argomentare su questioni reputate appannaggio del maschile. Gesù va oltre tutto questo. In ogni incontro con il femminile si rivolge alla persona, all’anima dell’interlocutrice, ponendo l’enfasi sul cambiamento e sulla dimensione salvifica della fede. Questa accoglienza non stereotipata verso le molteplici figure di donne e fanciulle (penso alla figlia di Giairo) è emblematica del rispetto e della valorizzazione di ogni creatura, a prescindere dal sesso».

  • Ha lavorato per due anni in un ospedale missionario africano con il volontariato internazionale. Che ricordi conserva di quella esperienza?

«Tanti ricordi. Ero laureata di fresco in Filosofia, e dalle vette della speculazione ho impattato con tutto il dolore del mondo. Con la morte dei bambini malnutriti. Con la povertà di popolazioni depredate, peraltro portatrici di una cultura millenaria poetica e meravigliosa. Davanti a una simile realtà ho provato un’intensa vergogna per i privilegi che l’essere nata in un paese ricco mi conferiva, e ho maturato la decisione di condurre una vita economicamente povera per pormi su un piano di fratellanza universale».